Un metro e mezzo


Finalmente abbiamo deciso.

Finalmente abbiamo iscritto la nostra bimba di due anni al corso di acquaticità. Non è mai stata in acqua prima d’ora, se non nella quotidianità di nemmeno due spanne d’acqua nella vasca da bagno.

Io non so nuotare, ma l’accompagnerò più che volentieri, tanto lì tocco e c’è l’istruttrice, e non è questo che mi blocca e che mi fa paura: bensì l’idea di mettere la testa sotto o di non toccare il fondo con i piedi.

Ci prepariamo in fretta nello spogliatoio e raggiungiamo la vasca dedicata, io con la mia sirenetta in braccio, con addosso il suo costumino intero fucsia e i suoi occhioni grigioverdi spalancati e curiosi che osservano un mondo nuovo, un ambiente mai visto, dove ci sono solo grandi vasche azzurre piene d’acqua e, a quell’ora del sabato, bambini di varie età ovunque, che sguazzano felici o che già sfrecciano nelle corsie come piccoli campioni.

Solo per il fatto che ci siano così tanti “bimbi”, come continua a farmi notare lei con la sua vocina stridula, indicandoli con il dito, so che è già felice ed entusiasta. Eccola, la nostra vasca. E’ quadrata, e sarà circa tre metri per tre. Ci sono già dei genitori in acqua e con loro, ovviamente, i loro piccoli pesciolini. Noto subito che sono quasi tutti più piccoli di lei. Inizio a temere ancora di più che lei possa avere paura, che mi si attacchi al collo, e che nella migliore delle ipotesi passeremo quella mezz’ora a mollo appiccicate l’una all’altra. La mia espressione evidentemente mi tradisce, perché qualcuno ci nota: dalla vasca mi raggiunge un sorriso raggiante, e la mano dell’istruttrice ci saluta dandoci il benvenuto e ci fa cenno di entrare.

Mi avvicino alla scala, la mia piccola in braccio è parte di me, e penso solo a camminare lentamente per non scivolare. Un gradino. Un altro. L’acqua è calda e accarezza dolcemente la pelle invitandoti a proseguire. Un altro gradino e l’acqua già ha superato le ginocchia. L’istruttrice è lì vicino, in acqua ad  aspettarci, sorridente e rassicurante nel il suo costume rosso che mi ricorda subito una nota serie televisiva.

Un altro gradino, e l’acqua mi arriva alla vita. E mi accorgo con malcelato stupore che di gradini ce ne sono ancora due. Mi assale una sorta di panico, ma cerco di controllarmi per non trasmettere paura alla bambina, che in realtà se ne sta lì in braccio a me tranquilla e beata come se io stessi facendo le scale di casa. Scendo ancora di un passo: sono anni che non entro nell’acqua così alta, e ho la sensazione di essere schiacciata in una stanza troppo piccola, come se all’improvviso io fossi diventata un gigante. La mia mano non si stacca dalla sbarra delle scale, e prendendo coraggio procedo ancora, ritrovandomi finalmente a toccare il fondo. Stacco la mano.

E’ una sensazione stranissima, come se la gravità non esistesse più. L’acqua è alta un metro e mezzo, e mi arriva quasi alle spalle. E’ caldissima e avvolgente, come una carezza, un massaggio, un mantello liquido che azzera il peso del mio corpo. Non sento nemmeno più i dodici chili della mia piccola sul braccio.

Mentre cerco di concentrarmi e riprendere il controllo momentaneamente perso, la nostra istruttrice si presenta e subito mi dice cosa faremo: devo fare il giro della vasca, far prendere alla piccola i giochi galleggianti, assecondarla e lasciare che prenda confidenza con l’ambiente. Poi lei si avvicinerà ancora e mi dirà cos’altro fare.

Prendo un bel respiro, le sorrido, e inizio a camminare lentamente. E mi rendo conto che passo dopo passo il mio corpo si abitua a quella nuova dimensione, mi sento più tranquilla. E la mia bimba? La guardo incuriosita. Sorride felice. Allunga da subito le sue manine verso le decine di animaletti di gomma che galleggiano colorati, li afferra, ne lascia andare uno per prenderne un altro. Una stella marina di gomma fa il giro della vasca insieme a noi, spinta in avanti dalle piccole dita della mia bimba serena e coraggiosa. La sento rilassata, senza la minima ombra di timore o reticenza. Ha degli schizzi d’acqua sulla faccia, causati dalle sue stesse manine smaniose, e la vedo più bella e solare che mai, con quelle goccioline sulle guanciotte rosa.

E’ lei, che da sicurezza a me.

Intorno a noi gli altri piccoli compagni di corso hanno lo sguardo altrettanto sereno e sorridono mettendo in mostra la dentatura ancora incompleta. Chi nuota con i braccioli, chi riemerge facendo un’espressione stupita, spalancando gli occhi con le ciglia imperlate di gocce d’acqua, per essere poi abbracciati con orgoglio dalla mamma o dal papà. Getto un’occhiata al bordo vasca, e dico alla mia piccolina di fare lo stesso: c’è papà che ci guarda, e dai suoi occhi capisco che si è accorto anche lui che la paura non è entrata in vasca con noi, che la nostra piccina è serena e felice. Mi rilasso definitivamente, e inizio a prenderci gusto.

Quella mezz’ora è una parentesi da tutto, è un’oasi di gioia pura, mentre ripetiamo gli esercizi-gioco che aiuteranno la mia bimba a prendere confidenza con il mondo acquatico: dal tenerla sotto le braccia e lasciare che si allunghi distesa a pelo d’acqua, con il suo faccino impegnato e in cerca di approvazione rivolto verso di me, dal farla scivolare su un tappetone a bordo vasca che finisce dritto in acqua, e quanto ride, quando arriva giù e finisce in un tuffo, sempre sostenuta dalle mie mani. E il piccolo annaffiatoio colorato, che da quando l’istruttrice le ha fatto vedere come si fa, lei non smette più di riempire e rovesciarsi in testa, tutta da sola, lasciando che l’acqua le coli sul viso, nelle orecchie. Mi stupisce: non pensavo davvero che al contrario di me lei si sentisse così a suo agio nell’acqua, senza patire della mancanza di un contatto solido sotto ai piedi, senza curarsi dell’acqua in faccia e sulla testa, come fosse veramente un pesciolino. L’istruttrice mi dice di essere contenta, perché la vede rilassata e serena, ed è sicura che non avrà problemi ad imparare a nuotare. Le dico che io invece non ho mai imparato e che ho sempre avuto  paura: e in quel momento, parlando con lei, vedendo lei che mi ascolta mentre galleggia come fosse la cosa più naturale al mondo, vedendo lei  così parte di quel mondo a me sconosciuto, mi accorgo di quanto ci si dimentichi che le paure possono davvero essere superate. Che si ha paura di ciò che non si conosce, e mi sembra che quel giorno anche io ho fatto amicizia con l’acqua. Ho fatto anche io l’acquaticità, con più di trent’anni di ritardo. Mi viene da ridere, ma mi sento davvero un’altra. E la mia piccola sguazza felice e continua a giocare.

Quando è ora di uscire, allora sì che la vedo titubante. Vorrebbe rimanere ancora. Come darle torto, rimarrei volentieri anch’io in quel posto quasi magico. E’ stata una scoperta anche per me. Un metro e mezzo d’acqua, tutti i miei timori pregressi lasciati fuori e mai più ritrovati, la voglia di sentirmi anche io galleggiare, di imparare come fare, perché non è mai troppo tardi, per nulla. Risalgo le scale, e mi sembra di uscire completamente con un solo passo, perché il contatto con l’aria rinfresca subito la pelle bagnata e restituisce a tutto il suo giusto peso, così che mi sembra di avere le gambe di cemento, e la mia piccola sirenetta sembra pesare il doppio di quanto ricordavo. Tiene ancora stretto l’annaffiatoio in mano, ma fuori dall’acqua non è più magico e se ne accorge anche lei. Lo facciamo ricadere dentro, nella vasca, così farà magie per i pesciolini e le sirenette del corso successivo. Saluta la piscina, le dico.

E mentre ci avvolgiamo negli asciugamani e ci allontaniamo strette l’una all’altra, felici e tutto a un tratto leggere come piume, penso che non vedo l’ora della settimana successiva, e di ritornare in acqua. Lei non me lo ha detto, non parla ancora così bene da mettere insieme una frase intera: ma sono sicura che ha pensato la stessa cosa.