In cerca dello squalo Zambesi


Oman. Una delle guide subacquee dell’Oman Diving Center, alla fine di un’immersione con autorespiratore a Mermeide Cove, mi sta raccontando “ … sai, qui vicino, qualche volta ho incontrato uno squalo Zambesi”. Urca! Uno Zambesi!

Lo squalo Zambesi è quello che gli anglosassoni chiamano “Bull Shark”. Nome scientifico Carcharhinus leucas. Squalo niente facile da osservare: come habitat predilige foci di fiumi e acque costiere con scarsa visibilità, dove può facilmente insidiare le sue prede. Vive benissimo nei fiumi, anche a migliaia di chilometri dalla foce. E riesce a campare persino nei laghi (nel lago Nicaragua è accertata la sua presenza). Affascinante… E’ uno squalo dal corpo massiccio, considerato pericoloso e aggressivo. Ma io non sono totalmente convinto di ciò: la mia personalissima convinzione è che, prediligendo ambienti costieri con acque torbide, abbia una certa facilità di contatto con la specie umana e, per la scarsa visibilità, qualche volta attacchi l’uomo per sbaglio.

Tornando alla guida subacquea, io immediatamente propongo: “Beh, allora domani veniamo qui a fare una bella immersione dedicata alla ricerca dello Zambesi…”.  La guida è un ragazzo simpatico dello Sri Lanka, che scuote la testa e mi dice: “Non possiamo: è molto improbabile incontrarlo. In tanti anni di immersioni qui, l’ho visto un paio di volte. Il rischio di pianificare un’immersione intorno a questo squalo è che alla fine non si veda nulla, né squalo, né altro. A quel punto i clienti sono tutti scontenti”. Logico. Mica sono tutti ossessionati dagli squali come me. Allora gli rispondo: “Vorrà dire mi aggregherò al prossimo gruppo che farà un’immersione qui, poi procederò da solo, in apnea. Fammi per favore sapere quando ci sarà la prossima immersione qui.” La prossima immersione è l’indomani, di primo pomeriggio.

Alle 14 sono pronto davanti al Diving. Tutta la poca attrezzatura da apnea sta comodamente nella sacca della monopinna. Che desta sempre curiosità tra gli amici bombolari… Tempo di fare un veloce appello e via, ci si incammina sul pontile, verso la barca. Sistemiamo le attrezzature a bordo, rapida conta dei subacque e via.

Pochi minuti di navigazione, la barca si ferma e attracca al gavitello di Mermeide Cove. Una piccola cala tranquilla, riparata. La guida mi spiega che le migliori possibilità d’incontro ci sono nella zona tra Mermeide Cove e il sito d’immersione adiacente, noto come Sea Horse Haze. Rimarrò sempre a vista della barca ormeggiata e del marinaio, le distanze non sono grandi. Entriamo in acqua. Mi stacco dal gruppo di bombolari per seguire la mia pista. Un tuffo sotto la barca per sgranchirmi le gambe e i polmoni, pinneggiando abbastanza lentamente e portandomi verso lo sbocco della cala. Riemergo. Mi preparo, ventilandomi con calma e scendo, con l’intenzione di attraversare in larghezza la cala, da punta nord a punta sud, un tratto di 50-60 metri. Nuoto a delfino lento, cerco di rilassarmi e risparmiare ossigeno, ma anche di guardarmi intorno: vedo belle formazioni coralline, coralli duri e coralli molli, molto colorati. Scendo alla base della parete, ma la profondità resta contenuta. Qui la roccia ed i coralli finiscono ed inizia un pianoro di sabbia. Ci nuoto sopra. E’ costellato di buchi di vermi e molluschi. Visto che si tratta di attraversare una distesa di sabbia decido di nuotare da monopinnatista: testa bassa tra le braccia tese in avanti. Poi alzo la testa per vedere se la mia rotta è lineare e vedo lo squalo. E’ a una quindicina di metri e si dirige dritto dritto verso di me. Smetto di pinneggiare e mi adagio sul fondo. Non capisco ancora di che specie si tratti, perché mi arriva proprio di fronte. Ma è grosso. Penso in sequenza: “Zambesi.” “No,troppo snello,  è un grigio.” “Grigio? No! Squalo pinna nera di barriera!”.  Mai visto così grosso! Due metri  e mezzo, praticamente il massimo raggiungibile dalla specie. Bellissimo, elegante, il corpo muscoloso color nocciola e quelle tacche nere orlate di bianco ad ornare le pinne. Lo squalo rallenta. Rallenta ancora. Mi passa a fianco, sguardo diffidente ed indagatore mentre scivola silenzioso a mezzo metro da me, con quel  suo invidiabile nuoto privo di sforzo apparente. Fa un mezzo giro intorno a me per finire la sua analisi e poi se ne riparte, con una progressione decisa, proseguendo per la sua strada. Lo guardo sparire nell’orizzonte blu e poi riemergo lentamente. Sono soddisfatto: potrei tornare sulla barca. Potrei. Ma visto che sono in acqua… vado avanti. Alzo la testa e vedo il barcaiolo mi  guarda, gli faccio cenno di OK, lui pure.

Mi dirigo appena oltre la punta sud. La linea di costa è praticamente diritta e io nuoto lentamente sott’acqua a 5/6 metri di profondità, mantenendomi parallelo alla costa ed appena più su del gigantesco pianoro corallino, che degrada verso il fondale sabbioso qualche metro più in basso. Il pianoro, da solo, è uno spettacolo: una prateria di coralli molli gialli e rossi attecchiti sopra una vasta distesa di madrepore incrostanti. Alzo lo sguardo e mi trovo circondato da un branco di una trentina di carangidi come non ne ho mai visti: grandi e piatti, il corpo argenteo, con lunghissimi filamenti che pendono dalle pinne dorsali e anali. E per “lunghissimi” intendo un metro e mezzo. Sembrano adorni di stelle filanti. Appurerò successivamente che si tratta di Alectis Ciliaris: un gioiello del mare di rara bellezza.

Smetto di muovermi e mi fermo sul fondo, aggrappato con un dito ad un angolo di roccia disadorna, “all’aspetto”. Loro mi carosellano intorno. Sto lì e lì guardo finche il mio corpo non mi dice che è meglio risalire. Recupero e torno giù. E loro sono sempre lì a danzarmi intorno. Vado avanti così per un po’, domandandomi se mai quei carangidi bellissimi se ne andranno. Durante uno di questi appostamenti sul fondo, con la coda dell’occhio avverto una presenza e dopo una frazione di secondo una grande massa scura mi sfila di fianco. Potente schizzo di adrenalina nel sangue! Ormai mi ha passato: è un grosso squalo corpulento di colore scuro. Lo Zambesi. Tre metri. Si allontana da me lentamente ma con moto rettilineo, senza mostrare alcuna intenzione di tornare indietro. L’emozione mi ha fatto bruscamente calare il tasso di ossigeno nel sangue, devo riemergere. Sono pieno di adrenalina, con i muscoli lievemente tremolanti. Tento altre attese sul fondo corallino, intercalate da lente nuotate a varie profondità, ma nulla, lo squalone è sparito. Decido che per oggi ne ho abbastanza e mi dirigo verso la barca. In fondo alla mia mente c’è anche un minimo timore, che mi induce a levarmi da lì. In fondo ha una pessima fama.

Qualche minuto dopo, sulla barca, mi asciugo al sole in silenzio. Negli occhi e nella mente quella massa scura color cobalto che mi passa di fianco…


Squali dell’Oman – Pinna nera a go go


Dopo il primo giorno di immersioni con bombole, un paio d’immersioni carine sì, ma non esaltanti, decido di andare a fare un po’ di apnea all’imbocco del fiordo che ospita il resort. Il richiamo dell’apnea è troppo forte. E poi una delle guide del diving mi  ha detto che a volte si vedono dei “blacktips”, cioè degli squali pinna nera di barriera, e delle tartarughe.

Entro nell’acqua bassissima, calzo la monopinna ai piedi, sputacchio nella maschera, infilo lo snorkel in bocca e mi avvio. Il fiordo è lungo circa 500 metri e ci si mette un po’ ad arrivare al suo imbocco,… l’acqua è caldissima, costante a 37°, anche sul fondo, un vero brodo. La visibilità è pessima, ma non c’è molto da vedere: sul fondo, solo sabbia. Fa caldo pure in acqua, non c’è mai pace e refrigerio. I primi dubbi sulla scelta della località per questo viaggio si fanno già strada nel cervello (bollito).

Appena prima dell’imbocco del fiordo, la parete del fiordo forma una rientranza, una piccola insenatura. Vado a dare un’occhiata: da quanto mi hanno detto al Diving, è qui che di solito girano le tartarughe. Capovolta. E sono subito sul fondo: la profondità sarà al massimo di 4 metri. Coralli! Che sorpresa, con questa temperatura dell’acqua. Sono coralli a corna d’alce e coralli cervello. O quantomeno assomigliano parecchio alle specie nominate. Sono vivi e colorati, viola, verdi, gialli. In mezzo ai coralli, oltre a pesci di barriera, una moltitudine di ricci marini dagli aculei sottili e lunghissimi. Non pensavo nemmeno che i coralli potessero vivere a queste temperature estreme! E invece questi si sono adattati proprio bene. Mi domando se si tratti di un fenomeno noto ai biologi marini. Forse sarebbe da segnalare a qualcuno.

La tartaruga non si fa aspettare. Ne vedo subito una, non molto grande, immobile in mezzo ai coralli. Mi fermo e la osservo da un paio di metri di distanza. Poi mi muovo e mi allontano. Riemergo e respiro. A una quindicina di metri da me c’è un’altra testolina che sbuca dalla superficie calmissima. E’ un’altra tartaruga, che sta facendo esattamente quello che faccio io: respira bene prima di un’apnea. Un altro giro sott’acqua per vedere bene questa grande chiazza corallina e poi è tempo di doppiare la punta del fiordo.

Appena fuori dal fiordo l’acqua è lievemente più fresca: 36° in superficie e 30° sul fondo. Fondo che è sempre fra i 5 ed i 10 metri, poca roba. Incomincio ad esplorare la zona nuotando rasente il fondo, ondeggiando lento con la monopinna. Il fondale è formato da roccia chiara, i coralli crescono sulla roccia ma non formano una vera barriera. Dalla nebbiolina (la visibilità è quella che è, oscilla dai 5 ai 15 metri) emerge un gruppetto di pesci pipistrello. Vado avanti seguendo la linea di costa, la visibilità migliora mano a mano che mi allontano dal fiordo. Ad un tratto, emerge dal nulla uno squalo pinna nera di barriera, di circa un metro. Eia! Segue una rotta obliqua rispetto alla mia, praticamente mi taglia la strada. Mi acquatto sul fondo, immobile, all’aspetto. Lui vira ed inizia a girarmi intorno. Ne arrivano altri, più piccoli, più grossi, di tutte le misure… e anche loro iniziano il girotondo lento e irregolare. Vorrei che i secondi non passassero mai. Ma devo risalire. In superficie mi ventilo bene in posizione prona per beneficiare di una maggior quantità di aria fresca e poi scendo di nuovo. E loro arrivano quasi subito. Li conto: sono una quindicina. I più piccoli arrivano a mala pena al mezzo metro di lunghezza, i più grossi sono vicini ai due metri. E’ raro vederne di queste dimensioni. Sono predatori delle lagune e delle acque costiere, soprattutto quelle sabbiose. Se ne vedono molti nelle lagune maldiviane, ma sono quasi sempre di taglia inferiore al metro. Questi sono grossi! E tanti! Li guardo e cerco di imprimere nella memoria il colore nocciola chiaro del loro corpo, le loro forme snelle ed eleganti. E’ uno dei miei squali preferiti.

I miei tuffi si ripetono, io mi rilasso e le apnee si fanno lunghe, così mi godo pienamente il “film” degli squali, che si ripete sempre più o meno uguale. Con la nota positiva che arrivano ancora altri squali. Penso proprio di essere la novità della giornata e di incuriosirli parecchio: sono abbastanza grosso, quindi potenzialmente minaccioso, però me ne sto fermo sul fondo senza fare rumore e forse potrei essere commestibile, ma non sono morto perché ogni tanto mi muovo e quindi non conviene provare ad assaggiarmi. Per loro il massimo deve essere che dopo un po’  – meraviglia – salgo verso la superficie, per loro luogo estremo e di confine. Quando ciò avviene, gli squali si innervosiscono e si allontanano, per poi riavvicinarsi al tuffo successivo, sempre più vicini mano a mano che passa il tempo dell’apnea. Che poi è quello che fanno quasi tutti i pesci, di qualunque dimensione e in qualunque latitudine e ambiente. Si avvicinano molto, passano davanti alla mia maschera a mezzo metro di distanza e per un momento i nostri occhi si incrociano, ma non manifestano affatto aggressività. Nuotano come divinità del mare, senza sforzo e silenziosi.

Starei lì in eterno. Ma dopo un’ora e più ritengo sia il caso di tornare tra i bipedi.  Soddisfattissimo. Qua il caldo ti stende, ma niente da dire: di roba sott’acqua ce n’è…