Squali! Squali! Squali!


Come non condividere questa serie fantastica di ancor più fantastiche infografiche sugli squali?

Impossibile resistere! E quindi eccole qui, cliccate QUI e… enjoy…

Flying_Sharks


Non mangiatemi


Se date un’occhiata al banco dei surgelati nei supermercati, è facile che vi imbattiate in tranci di carne di squalo, tipo quello riportato nella foto scattata all’Esselunga di Viale Suzzani di Milano. Tranci così si trovano un po’ in tutti i supermercati italiani.

Il messaggio che voglio darvi è semplice e diretto: non comprate mai carne di squalo. Non mangiate gli squali.

Le motivazioni sono varie e le riporto in ordine casuale.

  1. Sono animali a rischio estinzione, come altri predatori in cima alla catena alimentare dell’oceano.
  2. La loro diminuzione, o addirittura la loro estinzione, causa gravi squilibri all’ecosistema marino.
  3. Uno squalo vivo, oltre ad essere bello, vale molto più di uno squalo morto, perché dà lavoro alla gente: ad esempio i centri diving portano i subacquei ad immergersi con questi animali, dando lavoro a guide, skipper, personale amministrativo, ecc. Inutile dire che con squali vivi e abbondanti, si tratta di un’esperienza ripetibile, che genera reddito per chi è coinvolto. La pesca di uno squalo è invece “una tantum”: dopo che lo hai ucciso, è finita. E la carne, non essendo particolarmente pregiata, è venduta a basso prezzo. Gli squali ci mettono un sacco di anni a raggiungere la maturità sessuale, generano pochi squalotti, quindi la loro cattura ne riduce molto velocemente il numero. Economicamente, la pesca dello squalo è un nonsenso, roba da disperati.
  4. La carne degli squali non è particolarmente buona e soprattutto è piena di mercurio (ndr questo vale anche per pesce spada e tonno). Il mercurio fa malissimo al nostro organismo, perché può produrre cecità (non è una leggenda metropolitana, come quella legata a certe pratiche adolescenziali…qui è tutto vero) e altri gravi disturbi del sistema nervoso.
  5. C’è un sacco di altro pesce che non presenta questi problemi e inoltre è buono e anche a buon prezzo (qualche  esempio? pesce spatola, palamita, sgombro, sardine, acciughe). Chi dice che questi pesci non sono buoni è perché non ha mai avuto occasione di assaggiarli cucinati come si deve – presto su questo blog ricette a base di pesce 😉
  6. Assurdo pensare che lo sterminio degli squali sia in fondo una cosa giusta “perché gli squali attaccano l’uomo”: gli attacchi sono rarissimi, è molto più probabile essere colpiti da un fulmine o essere sbranati da un cane. Io ho fatto centinaia d’immersioni con squali, anche grossi e potenzialmente pericolosi, sia in apnea che con le bombole e mai, dico mai, ho visto il benché minimo accenno di aggressività nei miei confronti.
  7. E poi, gli squali sono troppo belli per essere mangiati…Questo breve filmato girato con la GoPro non riesce (a causa della mia imperizia) a fare completa giustizia della composta eleganza di questi curiosissimi figli di Nettuno che ho incontrato più volte al largo delle isole Azzorre. Ma almeno un’idea ve la può dare.

Per la cronaca, in Italia gli squali più comuni sul banco del pesce sono la verdesca, o squalo azzurro, o squalo blu (la specie del filmato), il palombo o nocciolino, lo smeriglio, il mako. Lasciateli perdere. Non com-pra-te-li. Protestate con la direzione del supermercato. E compratevi invece altri pesci la cui pesca o allevamento è ecosostenibile: farete un gran bene alla salute di mari ed oceani. E forse i vostri figli e nipoti potrenno nuotare in mari ricchi di creature marine, anziché in acque senza vita. Pensateci.


Colazione con lo squalo blu: la verdesca


“Anyway, you are in the open ocean with wild animals, use your common sense”.

Così Martin, la nostra guida del C.W. Azores, chiude il briefing che prelude l’immersione alla ricerca di squali mako e verdesche. E poi via, si parte di mattina presto, direzione Banco do Condor, 22 miglia marine da Pico, isole Azzorre. Siamo in perfetto orario per portar la colazione agli squali: teste mezze marce di tonno e pesce serra, zuppa putrescente di interiora e sangue di pesce azzurro assortito. Ognuno ha i propri gusti, ok?.
Giornata fantastica, sole caldo e mare calmo. La Ginjinha (liquirino portoghese alle amarene) della sera precedente sembrerebbe completamente smaltita e la navigazione passa alla grande. Incontriamo anche un branco di delfini comuni e uno di stenelle maculate, roba che ti mette sempre di buon umore.
Una volta sul Banco di Condor, la prima verdesca arriva pochi minuti dopo l’inizio del rito della pasturazione. E’ un maschio adulto di dimensione seria, che punta deciso la testa di pesce serra lasciata a profumare le acque dell’Atlantico: la verdesca cerca d’azzannare ripetutamente il boccone, aggressiva. Alla fine ce la fa, la strappa dalla cima dopo una lotta senza storia con Martin, il divemaster under 25 più tosto delle Azzorre. Mi piace vedere quello squalo testardo che se la fila tutto contento con la testa di pesce tra i denti.

Peccato che poi non si veda più manco l’ombra di uno squalo per un bel po’… Dopo un’ora passata a dormicchiare sdraiati sui tubolari del gommone, nell’arco di i pochi secondi arriva un gruppetto di verdesche: e allora vai, sveglia! tutti in acqua!
Immersi nel blu. E’ il solito ipnotico spettacolo di eleganza: attenzione, dà completa assuefazione. Ci sono cinque belle verdesche, squali blu di lunghezza compresa tra i 2 e i 3 metri, che nuotano con noncuranza in mezzo a noi, gli alieni sgraziati giunti nel loro mondo pelagico.


In questo video la mia imperizia con la videocamerina GoPro nuova fiammante non rende giustizia a queste creature del blu profondo: nessuna videocamera, figuriamoci la mia, registra appieno il blu iridescente dei loro dorsi, che sotto il sole vira al verde smeraldo.

Questi sono i figli dell’oceano.


A casa di squali mako e verdesche


Qua stiamo parlando di immersioni oceaniche allo stato puro: squali mako e verdesche si trovano al largo delle isole Pico e Fajal, a circa un’ora di navigazione a velocità sostenuta dal porto di Madalena, la base del nostro diving, il CW Azores, a Pico. Isola che già di suo è nel bel mezzo dell’Atlantico.

Qui il blu non manca di certo. Ci si immerge su un pianoro che sale a 200-240 metri di profondità, da una base ben più fonda. Si arriva col gommone e subito si pastura. Ma parsimoniosamente: giusto qualche pezzo di pesce in un sacco traforato, con il condimento di una maleodorante zuppa di sangue, olio di pesce, acqua marina e interiora rigonfie che Martin, la nostra guida, strizza e dispensa con flemma olandese (e un certo gusto dell’orrido tipico dei vent’anni…). In termini di cibo, comunque, è poca roba rispetto alla massiccia pasturazione (“chumming”) vista fare altrove. Si vede che questi squali pelagici sono esseri frugali.

Siamo fortunati, dopo neanche dieci minuti arrivano le prime verdesche: eleganti fantasmi blu di due metri che iniziano a girare intorno alla barca. Quando il sole ne illumina il dorso, la pelle sembra cangiante e vira dall’azzurro intenso al verde e poi di nuovo azzurro. Ci si veste al volo con ovvia eccitazione e poi spluff! finalmente nel blu. Le verdesche arrivano dal basso con il loro nuoto sinuoso, sembrano materializzarsi dal nulla, il colore del dorso che si confonde con il mare. Mica per niente in inglese la verdesca si chiama “Blue shark”, squalo blu. Le verdesche si avvicinano molto, ti sfiorano con il muso e il corpo sottile, guardandoti con i loro occhioni un po’ acquosi e poi scivolano via alla ricerca di qualche frammento di pesce. Uno spettacolo ipnotico. Sono bellissime: verrebbe da portarsene una a casa, come cucciolotto domestico (peccato che sia un animale un po’ difficile da tenere in appartamento a Milano, in effetti).

All’improvviso con la coda dell’occhio vedo un missile argenteo che mi arriva alle spalle e mi supera. Mako! Mako! Mako! Due metri e mezzo abbondanti di squalo muscoloso, il nuoto veloce, vibrante, nervoso. Punta con insistenza al sacchetto di rete con dentro il pesce: sacchetto che gli viene puntualmente sfilato da sotto il muso dall’esperto skipper. Il mako nuota sicuro in mezzo a noi, l’occhio nero e i denti sporgenti che, quando viene dritto verso di te, ti fanno pensare per un momento “Opporcavacca”. Poi lui gira ad angolo retto, giusto una spanna davanti alla maschera. E in definitiva si fa gli affari suoi. Così per quasi un’ora  – credetemi, un’ora da sballo. Ma le immagini possono valere più delle parole. Queste le ha girate il mio compagno d’immersioni Pierre Couillaud, un ragazzo parigino con la stessa strana malattia per gli squali che mi ritrovo addosso io e con il quale ho condiviso questa esperienza.