Scuse da apneista
Pubblicato: 15 febbraio 2015 Archiviato in: Apnea, immersioni | Tags: Apnea, immersioni Lascia un commento- Oggi la compensazione non va.
- Non sono abbastanza rilassato.
- Quel taglio d’acqua fredda mi blocca.
- Sono poco allenato.
- Sono troppo allenato.
- La monopinna mi blocca la circolazione dei piedi, pinneggio male.
- Il cavo è storto.
- Ho qualcosa nei seni frontali.
- Sento che mi arriva il mal di mare.
- Questa muta è troppo leggera.
- Questa muta è troppo pesante.
- C’è un po’ troppa corrente.
- Forse non ho digerito.
- Tanto non volevo fare tuffi profondi oggi.
- Ho un assetto troppo positivo.
- Ho un assetto troppo negativo.
- Ci sono le meduse.
- La muta fa acqua.
- Non mi fido a scendere senza lanyard.
- Il lanyard mi intralcia mentre scendo.
- Non sono segnate le profondità sul cavo.
- Ho dormito troppo.
- Ho dormito poco.
- Non sento il mare.
- Quei pesci mi innervosiscono.
- C’è troppo blu.
- L’acqua è troppo torbida.
- Ho paura degli squali.
- Quelli della barca mi mettono fretta.
- La pala è troppo dura.
- La pala non è abbastanza reattiva.
- Questa maschera mi fa venire la nausea.
- Quei coralli laggiù mi fanno paura.
- Se non vedo il piattello, non riesco a scendere.
Zuppa di pesce a Shark e Yolanda
Pubblicato: 20 marzo 2014 Archiviato in: immersioni | Tags: immersioni, Mar Rosso Lascia un commentoBranchi di pesci pipistrello (platax) che svolazzano nel blu, inquietanti pesci azzannatori che pattugliano i ripidi muri del reef. E muraglie di barracuda. Banchi compatti di enormi barracuda, che superano il metro nuotano sospesi nel blu di cristallo. La densità dei barracuda è inimmaginabile; per questo metto una foto…
Queste muraglie viventi di pesce, una vera e propria zuppa pelagica, sono la cosa che mi ha sempre colpito dei due reef gemelli di Shark and Yolanda. Due secche collocate sulla punta del promontorio di Ras Mohammed, protese verso il centro del Mar Rosso, sull’orlo di una drammatica caduta che precipita in un abisso profondo 800 metri. Non c’è da stupirsi che la vita sottomarina qui non manchi. E’ un luogo bellissimo, che non mi ha mai deluso.
“Pizzini” maldiviani
Pubblicato: 13 marzo 2014 Archiviato in: immersioni, Squali, Viaggi subacquei | Tags: crociera subacquea alle Maldive, immersioni, immersioni con squali, immersioni Maldive, Squali Lascia un commentoIl due alberi da crociera è pigramente ormeggiato nelle calme acque della laguna, da qualche parte nell’atollo di Felidhoo. Il venticello caldo carico di salsedine è piacevole. Mai quanto il tonno crudo condito con olio e lime che ho in bocca. Un malcapitato tonnetto pescato dall’equipaggio della barca poche ore fa, mentre noi subacquei eravamo in immersione nella pass di Fotteyo, e loro attendevano la nostra riemersione ingannando l’attesa con la pesca.
Fotteyo. Fugace, nella mia mente si riforma l’immagine dei grandi squali grigi che nuotano indolenti nella corrente; sullo sfondo, la formazione di 25-30 aquile di mare che incede regalmente nel blu, in formazione perfetta. Io, ancorato a un blocco madreporico per non essere trascinato via dalla forte corrente, che assorbo immagini mentali (e azoto).
Il tonno crudo è delizioso.
Odio il freddo, ma parecchio, anche se…
Pubblicato: 5 dicembre 2013 Archiviato in: Apnea, Delfini, immersioni, Viaggi subacquei | Tags: Apnea, apnea con cetacei, apnea con i delfini, immergersi con cetacei, immersione con delfini, immersioni Lascia un commento…se potrei tollerarlo per immersioni come questa: beluga!
(Prima o poi accadrà…è che tocca andare in Alaska nel periodo giusto)
L’Icaro degli abissi
Pubblicato: 14 aprile 2013 Archiviato in: Apnea, immersioni | Tags: Apnea, freediving, Herbert Nitsch, immersioni, no limit 1 CommentoHerbert Nitsch, 42 anni, austriaco, ex-pilota aereonautico, è uno di quegli atleti che mi piace definire “epocali”: ha battuto 31 record mondiali in tutte le discipline del freediving.
Poco elegante nella nuotata rispetto alla maggior parte degli apneisti d’alto livello (guardate), l’autodidatta Herbert Nitsch ha più che bilanciato questo difetto con tempi d’apnea straordinari (oltre 9’ di apnea statica), incredibile capacità di compensare la pressione sui timpani e un notevole ingegno, dote che lo ha portato a innovare attrezzature e metodi di compensazione.
Herbert Nitsch si è messo intesta un’idea pazza, un chiodo fisso: raggiungere i 300 metri di profondità nella specialità più estrema del freediving, il no-limit. Il no-limit è una discesa negli abissi, trattenendo il fiato, trainato da una slitta dal peso illimitato, risalendo in superficie trascinato da un pallone gonfiato in profondità che fa da ascensore. Per dare un’idea di quanto folle sia la profondità di 300 metri, nel 1999 il grande Umberto Pelizzari con una discesa a 150 metri stabilì un record che durò anni.
Io, che non amo il no-limit (preferisco le specialità più pure e muscolari, come la discesa in assetto costante con monopinna o a rana, che fra l’altro sono meno pericolose), ho sempre pensato che Nitsch con questa fissazione dei 300 metri ci avrebbe rimesso la pelle. E’ una profondità demenziale anche agli occhi d’un apneista. Potete facilmente intuire l’opinione dei medici: perché se è vero che la scienza comincia a capire qualcosa della fisiologia del corpo umano in apnea a più basse profondità, quelle quote abissali sono davvero un’incognita.
E poi ci sono i pessimi precedenti: negli ultimi 15 anni il no-limit ad alto livello è stato praticato sì e no da una mezza dozzina di apneisti, e due di essi, cioè Audrey Mestre e Patrick Musimu, ci hanno rimesso la vita.
Ma niente, Herbert è andato avanti nella sua rincorsa ai -300.
Il 6 giugno 2012 Herbert Nitsch è sceso negli abissi al largo dell’isola di Santorini a 244 metri, per battere il suo precedente record di 214 metri. Ha raggiunto quota -244. Ma nella risalita qualcosa è andato storto: ha avuto un black-out, è svenuto, e l’eccessiva velocità di risalita negli ultimi metri (ndr: in condizioni normali, lui è solito fare una breve sosta di decompressione IN APNEA – chi ha dimestichezza con le immersioni si rende conto subito che si tratta di un alieno) lo ha portato a sviluppare una grave sindrome da decompressione. Con tutto quel che segue: danni al sistema cardiocircolatorio, paralisi, perdita di memoria, difficoltà a parlare.
Nella prima intervista dopo l’incidente, a distanza di nove mesi, Herbert ha dichiarato: “Dal punto di vista medico, ho avuto un infarto multiplo. Proprio ciò che succede allo champagne quando si toglie il tappo è successo al mio sangue: l’azoto disciolto nel sangue, ha avuto un’espansione esplosiva durante la risalita, creando bolle che hanno danneggiato cuore e cervello”.
Ora va un po’ meglio. Ma il fisico è gravemente leso e la carriera apneistica appare al momento finita. Herbert racconta: “Ho seri problemi di linguaggio e memoria, ma ormai sono familiare con queste difficoltà e sono diventato bravo a trovare un altro modo di dire le cose quando le parole non mi vengono in mente. Ma con i nomi delle persone non c’è verso, non li ricordo mai…”. E riguardo alle difficoltà motorie dichiara: “Provo a correre, è ancora più divertente, ho uno stile che è una via di mezzo tra il passo dell’oca e la Lambada. Ma resto un completo disastro se provo a versare il tè con la mano destra “.
Insomma, nonostante la sua situazione, Herbert, l’Icaro delle profondità che è voluto scendere troppo negli abissi, mantiene il suo senso dell’umorismo e resta l’ironico atleta dell’esilarante e assolutamente imperdibile video “Toilet Dive“.
Crash dive!
Pubblicato: 30 gennaio 2013 Archiviato in: immersioni, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: Azzorre, Cetacean Watching Azores, CWAzores, immersioni, Immersioni Azzorre, tempesta perfetta Lascia un commento“Le condizioni marine non sono buone, non si può andare a cercare gli squali (a 22 miglia nell’Oceano, ndr). Se volete facciamo una immersione nel canale tra Pico e Fajal.” dice Martin con un sadico sorrisetto.
Così, caricate le attrezzature e saliti a bordo, sotto un cielo grigio da tempesta perfetta, Justin guida il gommone verso l’uscita del porto. L’acqua sembra melassa, ma appena superiamo il fanale di segnalazione, vento e onde iniziano ad arrivare da tutte le parti. I fondelli delle bombole mettono a dura prova il pagliolato del gommone, le pinne fanno concorrenza ai pesci volanti e noi subacquei sembriamo turisti sul toro meccanico al Lunapark…yooooohooooo! Ecco cosa intendeva Martin con il suo sorriso sadico: il rock & roll era dietro l’angolo, ma noi di Stobenenelblu l’avevamo già capito!
Durante il breve tragitto penso a come indossare jacket e pinne senza finire fuori bordo, ma non mi viene in mente niente. Alla fine, in qualche modo, raccattiamo e indossiamo tutti i pezzi…
Ci buttiamo e pinneggiamo a capofitto verso il cappello della secca Baixa do Sul a circa 7 metri per iniziare il solito giro a spirale intorno al pinnacolo, prima a scendere e poi a salire. La corrente si sente ed il moto ondoso pure. Le onde si avvertono fino ad una profondità pari a metà della loro lunghezza (d’onda appunto). Murene, scorfani ed altra fauna costiera più qualche barracuda sono stati gli avvistamenti, per il resto non mi ricordo quasi niente, intento com’ero, come la gran parte dei subacquei, ad arrampicarmi sugli scogli per contrastare la corrente ed evitare i vermocani (a migliaia sulle rocce della secca).
Dopo 45 minuti di immersione risalgo con un primo gruppetto, un tedesco a cui si è rotto il manometro finisce l’aria e si attacca alla guida.
In superficie è ancora peggio, mi tolgo il jacket e Justin lo salpa in un attimo.
Cicatrici di schiuma bianca contenevano i marosi che sovente si abbattevano sul fasciame (questa è un po’ alla Melville ma mi piaceva anche se fuori luogo…..anche perchè i gommoni non ce l’anno il fasciame!). Comunque… il beccheggio rende veramente impegnativa la salita a bordo, io ci riusco al terzo tentativo, Raffaele al secondo. In acqua una guida cerca invano di spingere verso l’alto una ragazza svizzera, senza troppi convenevoli le afferro l’avambraccio e l’incavo del ginocchio e la salpo sul tubolare. Arriva il mal di mare ma resisto. Dopo un po’ anche gli altri sono a bordo e Justin dirige alla massima velocità casa. Visto da fuori il gommone deve sembrare un sasso piatto lanciato da un ragazzino che rimbalza sull’acqua.
Superiamo il fanale e come per incanto torna la quiete. L’ormeggio è fluido, il gommone si muove preciso come se fosse su di un binario invisibile, nessuno parla. Lo stesso cielo grigio ci accompagna mentre trasportiamo le attrezzature verso il Cetacean Watching Azores per il rituale del risciacquo. E’ curioso vedere dei subacquei vestiti di tutto punto fermi sulle strisce pedonali per raggiungere il diving.
E così, un po’ tuonati ma pieni di Oceano, il mio socio di mare Raffaele alias RockZen ed io ci incamminiamo sulla strada polverosa che percorriamo quasi ogni mattina. E che stavolta ci porterà verso il Baia Da Barca, dove a bordo piscina ci aspettano le nostre allegre famigliole.
Queste sono le Azzorre ragazzi!
Non mangiatemi
Pubblicato: 7 ottobre 2012 Archiviato in: immersioni, Squali | Tags: Azzorre, immersioni, immersioni con squali, salvare gli squali, Squali, squali a rischio, squali blu, verdesche Lascia un commentoSe date un’occhiata al banco dei surgelati nei supermercati, è facile che vi imbattiate in tranci di carne di squalo, tipo quello riportato nella foto scattata all’Esselunga di Viale Suzzani di Milano. Tranci così si trovano un po’ in tutti i supermercati italiani.
Il messaggio che voglio darvi è semplice e diretto: non comprate mai carne di squalo. Non mangiate gli squali.
Le motivazioni sono varie e le riporto in ordine casuale.
- Sono animali a rischio estinzione, come altri predatori in cima alla catena alimentare dell’oceano.
- La loro diminuzione, o addirittura la loro estinzione, causa gravi squilibri all’ecosistema marino.
- Uno squalo vivo, oltre ad essere bello, vale molto più di uno squalo morto, perché dà lavoro alla gente: ad esempio i centri diving portano i subacquei ad immergersi con questi animali, dando lavoro a guide, skipper, personale amministrativo, ecc. Inutile dire che con squali vivi e abbondanti, si tratta di un’esperienza ripetibile, che genera reddito per chi è coinvolto. La pesca di uno squalo è invece “una tantum”: dopo che lo hai ucciso, è finita. E la carne, non essendo particolarmente pregiata, è venduta a basso prezzo. Gli squali ci mettono un sacco di anni a raggiungere la maturità sessuale, generano pochi squalotti, quindi la loro cattura ne riduce molto velocemente il numero. Economicamente, la pesca dello squalo è un nonsenso, roba da disperati.
- La carne degli squali non è particolarmente buona e soprattutto è piena di mercurio (ndr questo vale anche per pesce spada e tonno). Il mercurio fa malissimo al nostro organismo, perché può produrre cecità (non è una leggenda metropolitana, come quella legata a certe pratiche adolescenziali…qui è tutto vero) e altri gravi disturbi del sistema nervoso.
- C’è un sacco di altro pesce che non presenta questi problemi e inoltre è buono e anche a buon prezzo (qualche esempio? pesce spatola, palamita, sgombro, sardine, acciughe). Chi dice che questi pesci non sono buoni è perché non ha mai avuto occasione di assaggiarli cucinati come si deve – presto su questo blog ricette a base di pesce 😉
- Assurdo pensare che lo sterminio degli squali sia in fondo una cosa giusta “perché gli squali attaccano l’uomo”: gli attacchi sono rarissimi, è molto più probabile essere colpiti da un fulmine o essere sbranati da un cane. Io ho fatto centinaia d’immersioni con squali, anche grossi e potenzialmente pericolosi, sia in apnea che con le bombole e mai, dico mai, ho visto il benché minimo accenno di aggressività nei miei confronti.
- E poi, gli squali sono troppo belli per essere mangiati…Questo breve filmato girato con la GoPro non riesce (a causa della mia imperizia) a fare completa giustizia della composta eleganza di questi curiosissimi figli di Nettuno che ho incontrato più volte al largo delle isole Azzorre. Ma almeno un’idea ve la può dare.
Per la cronaca, in Italia gli squali più comuni sul banco del pesce sono la verdesca, o squalo azzurro, o squalo blu (la specie del filmato), il palombo o nocciolino, lo smeriglio, il mako. Lasciateli perdere. Non com-pra-te-li. Protestate con la direzione del supermercato. E compratevi invece altri pesci la cui pesca o allevamento è ecosostenibile: farete un gran bene alla salute di mari ed oceani. E forse i vostri figli e nipoti potrenno nuotare in mari ricchi di creature marine, anziché in acque senza vita. Pensateci.
Il sogno di Alfonso
Pubblicato: 21 aprile 2012 Archiviato in: Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: Azzorre, Balene, immersioni Lascia un commento“Mi fai una foto così quest’estate alle Azzorre?” (disse speranzoso il mio amico Alfonso alias Aqua2O…)
L’ancora di Nettuno
Pubblicato: 11 marzo 2012 Archiviato in: Apnea, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: crociera, immersioni, Turchia Lascia un commentoL’ancora di Nettuno
Siamo in Turchia, il paesaggio è tipicamente mediterraneo con vegetazione fitta che sfiora un mare blu cobalto, una miriade di calette e qualche isola sperduta, alcune di queste con imponenti rovine di templi. Sembra il mare degli dei.
Durante le soste della navigazione mi diverto a fare un po’ di snorkeling ma l’acqua è caldissima e di pesci nemmeno l’ombra così in mancanza di fauna da osservare decido di fare un pò di apnea pura. Recupero un paio di pinne ed una maschera, il solcometro del comandante diventa il mio “cavo improvvisato” ed eccomi ad andare su e giù nello spazio liquido. Il fondo è tra i 16 ed i 18 mt., nulla di eclatante ma io sono molto soddisfatto perché riesco a raggiungerlo in scioltezza aggiungendo anche delle apnee statiche sul fondo di circa 15 secondi. Il comandante mi osserva ed osserva anche gli altri ospiti della barca impegnati in tornei di tuffi a bomba, nuotate e sedute di tintarella tra venditori di kebab che con i loro barchini si aggirano proponendo appetitose focaccine appena cotte. All’ora di pranzo siamo tutti richiamati a bordo e poi ripartiamo per la destinazione in cui passeremo la notte, una baia riparata nei pressi di Kash.
Quando vi giungiamo, appena dopo il tramonto, i colori sono molto diversi. Tutto sembra avvolto da una coltre grigiastra che smorza i toni, come se il sole avesse dato il segnale a tutti gli elementi della natura e questi si fossero ritirati all’unisono per il meritato riposo notturno ed anche noi ci prepariamo ad ormeggiare, alla fonda.
Il comandante, con il figlio 13enne perfettamente in grado di eseguire tutte le manovre di bordo, prepara la barca per la notte. Sara ed io siamo in cabina a prepararci per la cena e prua al vento ascoltiamo il familiare clangore della catena dell’ancora che viene risucchiata dall’acqua quasi a cercare un contatto rassicurante con il fondo del mare, come un bambino che all’imbrunire tende la mano alla mamma in cerca di protezione. Ad un tratto il clangore finisce e si odono delle voci concitate, sembrano insulti reciprochi, ma ovviamente in turco quindi non ci capisco niente. Raggiunta la coperta il comandante ci dice nel suo broken english che qualcuno si è dimenticato di fissare l’altro capo della catena, quindi sia catena che ancora giacciono ora placide sul fondo del mare. Alla faccia del contatto rassicurante! uno scippo in piena regola! ad opera di Nettuno! Caliamo rapidamente un’ancora di riserva ma dallo sguardo capisco che il comandante vuole assolutamente recuperare quella appena persa, mi guarda e mi chiede di dare una mano a cercarla. Non mi faccio pregare e anche se l’impresa è senza speranza: è quasi buio ed abbiamo scarrocciato un bel pò dal punto nel quale l’abbiamo persa, mi cambio di nuovo e sono subito in acqua.
Provoa fare un primo di tuffo armato di mini torcia subacquea che però dopo qualche metro si allaga spegnendosi. Allora il figlio del comandante corre a prenderne un’altra molto più potente, l’accende e me la lancia…noooooo! sono troppo lontano e la manco, mi passa ad un metro ed inizia ad inabissarsi. Non provo neanche ad inseguirla, sarebbe inutile, ma la fisso mentre si inabissa, so che il fondo è alla mia portata. Nel frattempo mi ventilo e quando non la vedo più faccio la capovolta lanciandomi all’inseguimento. Sono sciolto e pinneggio bene anche se ho un pò di freddo ed è tutto grigio, non è bellissimo a dire il vero. I pensieri si accavallano quando ad un tratto vedo una luce, è quella dell’aldilà?, sono schiattato?, ma no è quella della torcia! l’agguanto ed inverto la rotta. Non faccio neanche in tempo a sentire le prime contrazioni che sono già in superficie accarezzato dalla fresca brezza notturna. La torcia emerge per prima, poi le braccia tese con le mani unite ed infine la testa. In superficie mi sento un po’ osservato ed infatti i nostri compagni di viaggio, tutti affacciati a prua della nostra bellissima goletta turca, esplodono in cori da stadio alla vista della torcia. Shane, un australiano simpaticissimo, dal fisico di un torello, orgoglioso della birra prodotta nel suo stato ed in giro per il mondo con la moglie Sarah prima di comprare una casa in riva ad una spiaggia sulla east coast australiana e vivere una vita di lavoro e famiglia, mi grida great! you are “fish-man” e tutti a fargli da eco inneggiando al ritrovamento della torcia. Poi disorientato da tanto entusiasmo rimango qualche istante con le braccia tese a sostenere la torcia e con questi che gridano come ossessi mi sento un pò come Cannavaro che solleva la coppa ai mondiali. Poi capisco che sono solo uno a mollo in mutande in mezzo al mare con una torcia in mano che stà cercando un’ancora che non è neanche sua ed è pure contento! Ma noi di Mare siamo così, del resto se siete su questo blog lo sapete anche voi.
….ad ogni modo tornando al racconto…. al mio rientro a bordo sono accolto come il protagonista di una impresa epica: pacche sulla spalla e mani tese ad aspettare il “cinque” si sprecano, poi arriva il comandante, mi guarda e dice: “thank you my friend” e se ne torna sornione a cucinare il pesce sulla brace.
Dopo un po’ iniziamo a cenare ma nel bel mezzo della serata il comandante la interrompe e mi regala una birra in segno di riconoscenza per il recupero della torcia. Si riparte con cori, tintinnii di posate sui bicchieri e chi ne ha più ne metta…a quel punto, complice anche l’alcol, sfido gli australiani ad un tuffo a bomba dalla battagliola, “non avete coraggio!” gli apostrofo (che detto ad un australiano è come dire a Tyson che non sa tirare di box!), mi alzo, cammino cercando l’equilibrio tra i corpi dei commensali e sparisco oltre la battagliola vestito. In un attimo mi ritrovo a mollo con Shane e Rhys ad urlare e schizzarci come bambini tra le risate nostre e degli altri compagni di viaggio che si sporgono brandeggiando birra ed altri miscugli alcoolici (le mogli degli australiani Sarah e Natalie e la mia, Sara, una nonna tedesca con il nipotino di cui non ricordo i nomi, due diplomatiche francesi dell’ambasciata spagnola Claire e Domitille ed un ragazzo indiano, Sufi, abbigliato come un santone asceta che ha ceduto però alle tentazioni terrene dell’avvenente Meredith, canadese, studentessa universitaria di psicologia alle prese con la ricerca di una sua posizione sul pianeta Terra).
Una combriccola simpatica ed eterogenea, una serata inaspettatamente diversa, una birra in premio ed io sono in mezzo al mare di notte: me la sciallo alla grandissima! In questi momenti vorrei attaccarmi in fronte un cartello con scritto “sciallasi!” ma non posso, come vado in giro poi?
Ad ogni modo al mattino seguente svaniti i fumi dell’alcol le ricerche dell’ancora continuano.
Vengo svegliato all’alba dal rumore del fuoribordo di chi ha iniziato prima di me. Salgo in coperta, recupero pinne e maschera, e respiro a pieni polmoni. Risciallasi! Dormono tutti tranne l’equipaggio ed il sole, che ansioso di dare inizio al nuovo giorno, fa le cose di fretta e gli rimangono ancora attaccati addosso pezzi di notte, le ombre.
Un membro dell’equipaggio tenendo una mano sulla barra del motore ed utilizzando l’altra per appoggiarsi al tubolare scruta il fondo, ora visibile, nel tentativo di individuare l’ancora e venirmi a chiamare affinchè la possa raggiungere. Nel frattempo io entro in acqua ed inizio a fare dei tuffi mirati sui punti che mi indica il comandante. E’ bellissimo, i raggi del sole si fanno strada nell’acqua turchese come i denti di un enorme pettine di fuoco che accarezza le posidonie mosse da una lievissima corrente. E’ Nettuno che dolcemente sveglia le proprie creature, ma dell’ancora nessuna traccia. Poco dopo il comandante decide di cambiare tecnica. Andando avanti ed indietro con la barca inizia a dragare il fondo utilizzando l’ancora di riserva come “rastrello” sperando di “uncinare” la catena ancòra tra le braccia di Nettuno. Inizialmente della catena neanche l’ombra poi quel burlone di Nettuno divertitosi forse troppo ad osservare i nostri goffi tentativi di ricerca e recupero decide che ne ha abbastanza ed all’ennesimo tentativo l’ancora-rastrello ci restituisce finalmente la catena.
Mi bastano un paio di tuffi per agganciare una cima con un moschettone all’ultimo anello (siamo sempre sui 18 metri), uno strattone come concordato, mi allontano per sicurezza ed inizio a guadagnare la superficie osservando l’ancora che con una traiettoria dapprima obliqua rispetto alla mia poi perpendicolare rispetto al fondo, sollevando una nuvoletta di fango come quella dei fumetti di quando uno si arrabbia, ritorna a bordo salpata dall’argano elettrico.
Eh si, Nettuno ci aveva giocato proprio un bello scherzetto, del resto lo sanno tutti che è un gran burlone. Forse la nuvoletta era proprio sua, infastidito per aver noi posto fine al suo divertimento….d’altronde c’era da aspettarselo, siamo noi gli intrusi e lui è il Re del Mare.
Sua maestà lo squalo pinna bianca oceanico – atto 1
Pubblicato: 18 gennaio 2012 Archiviato in: immersioni, Squali, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: crociera subacquea in Mar Rosso, Elphinstone, immersioni, immersioni con squali, longimanus, Mar Rosso, Squali, squalo pinna bianca oceanico 1 CommentoNon è ancora il tramonto quando arriviamo a Elphinston. Solita sarabanda della shamandura, ma alla fine attracchiamo a Punta Sud. Siamo una delle due barche da crociera (subacquea of course!) ancorate al mitico reef pelagico. Uau. Le onde corte e nervose del Mar Rosso egiziano biancheggiano come una corona intorno all’atollo corallino. Appena più all’esterno il mare diventa subito blu. Intensamente blu. Un blu promettente…
Infatti. Dopo pochi minuti, intorno alla barca appare un Carcharinus Longimanus di quasi quattro metri. Comincia a fare “passaggi” sotto ed intorno alla barca. Con Elisabetta, Sara, ed Alfonso ci guardiamo: un Longimanus! Enorme! Come intuibile, Alfonso ed io siamo eccitatissimi. Le scimmiette nelle nostre testoline corrose dal sale saltano impazzite.
E’ tardi per un’immersione. Ma io sento che devo fare QUALCOSA. C’è un longimanus lì sotto, io sono sulla barca e non va bene, devo fare qualcosa, me lo dice la scimmietta più schizzata. So che è uno squalo pelagico con una bruttissima fama, e inoltre siamo ormai al tramonto, non è certo l’orario più indicato per un faccia a faccia con un simile bestione. Ma io voglio entrare in acqua. Devo vederlo da vicino. Voglio il contatto. Lo dico ad Alfonso: lo conosco, già si immagina delle bellissime fotografie. Tuttavia non è convinto. Ne parlo con le due guide. Susanna, una ragazza sarda tosta come il granito di Capo Testa è tiepidina circa l’dea di entrare in acqua. Tortsten, la guida tedesca fino al midollo, è contrario – ma va? chi se lo sarebbe mai aspettato da un tedesco?
Alla fine prendo una decisione: W gli squali, sento che andrà tutto bene, me ne catafotto del tedesco e di Susanna e di tutti. Alfonso è sopraffatto dalla ragione e rinuncia. Ma, glielo leggo in faccia, si è istantaneamente pentito della sua decisione di non scendere in acqua. Prendo maschera e snorkel e mi calo lungo la scaletta di poppa. Mi aggancio con un piede ad un gradino in alluminio della scaletta e mi allungo nella corrente. Che è forte come quella di un fiume in piena, una massa d’acqua che viaggia a svariati nodi all’ora. Se il piede scappa sono guai.
La visibilità è eccezionale. Mi guardo intorno con un po’ in apprensione… Poi lo vedo, sulla destra, ad una quindicina di metri di distanza. Le grandi pinne pettorali distese, con le macchie bianche che si stagliano sul corpo nocciola. Nuota apparentemente senza sforzo, attorniato da alcuni pesci pilota, è un autentico feudatario del mare.
Passa lontano, guardingo, e poi sparisce nel blu. Mi guardo dietro le spalle, di lato, nervoso. E compare ad un paio di metri da me, arrivando da dietro, alla mia destra. Questa volta mi sfila davanti a pochi centimetri. E’ bellissimo. Un grande squalo del blu dal nuoto regale. Scompare ancora una volta dal mio campo visivo. Poi lo vedo di nuovo… ma… no! è più piccolo… È un altro! Sono DUE Longimanus! Questo è più piccolino, meno di due metri. Ma ugualmente elegante.
Me ne sto lì un bel po’, gongolando a vederli passare avanti indietro. Questi sono gli spettacoli che preferisco.
Quando esco, a parte qualche sguardo di riprovazione, capisco di aver creato un precedente: il Longimanus è entrato nelle fantasie subacquee di tutti gli ospiti di bordo (non dell’equipaggio egiziano, che manifesta un autentico terrore nei confronti del grande squalo). E infatti iniziano le pianificazioni per l’immersione delle 6.30 del mattino successivo – i pensieri nell’aria sintetizzabili più o meno così “Chissenefrega del plateau sommerso, del pesce napoleone e dell’arco con la ridicola tomba dell’elfo a -55, vogliamo vedere i Longimanus!”. E’ previsto un giorno e mezzo qui a Elphinstone: non ci sarà spazio per la noia…