Il sogno di Alfonso
Pubblicato: 21 aprile 2012 Archiviato in: Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: Azzorre, Balene, immersioni Lascia un commento“Mi fai una foto così quest’estate alle Azzorre?” (disse speranzoso il mio amico Alfonso alias Aqua2O…)
Non comportatevi da prede: faccia a faccia con lo squalo tigre
Pubblicato: 24 marzo 2012 Archiviato in: Squali, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: boat launch, dusky shark, immersioni con squali, immersioni Sudafrica, oceanic black tip, squalo pinna nera oceanico, squalo tigre Lascia un commentoI sub osservano perplessi Walter Bernardis mentre esordisce raccomandando: “Don’t behave like a pray” – “Non comportatevi come prede”.
E’ il briefing, stiamo per entrare nelle acque sudafricane dell’Oceano Indiano nella speranza di incontrare qualche squalo tigre.
Sono oltre dieci anni che Walter, fondatore e boss di African Watersports, si immerge con i tigre, rigorosamente senza gabbia. Ha ormai le idee chiare: “Lo squalo tigre cerca di collocarvi sulla SUA scala di valutazione: ad un estremo c’è il predatore, all’altro la preda. Se vi identificherà come predatore, scapperà. E non è quello che vogliamo. Se invece vi identificherà come preda, vi attaccherà. Quindi voi dovete confonderlo, stando verticali in acqua e producendo bolle, così lui vi gira intorno per capire cosa siete. In questo modo possiamo osservarlo per bene. Non perdetelo mai di vista: se si avvicina di soppiatto alle spalle può diventare pericoloso. Se si avvicina troppo, urlate nell’erogatore, e vedrete che lui si allontanerà”.
A questo punto, noto perplessità sui volti di noi sub: forse ci domandiamo tutti cosa ci facciamo lì, qualche miglia al largo della costa di Kwazulu Natal, con mare formato e sanguinolente e maleodoranti carcasse di tonno e ricciola appese fuori dalla barca ad attrarre squali.
Arrivare qui non è stato banale: sveglia alle 5, gommonata di mezz’ora con partenza rocambolesca dal delta del fiume; è il famoso “boat launch” con il gommone che prende velocità nelle acque del fiume e supera di slancio i cavalloni oceanici, tra gran salti. Un’esperienza…
Ora si vedono molti dorsi e pinne di squalo fendere le onde, nervosamente: lì sotto c’è un bel movimento, niente da dire…
Anche io e la consorte Villa ci domandiamo se sia proprio un’idea brillante quella di buttarsi lì in mezzo a quell’orda di squali, senza gabbia. Io amo gli squali, ho fatto una montagna di immersioni con squali di ogni genere, però l’istinto atavico tira dall’altra parte. Ma ci fidiamo di Walter e della sua esperienza. Del resto, ci siamo sparati 26 ore di aereo apposta per essere qui, ora.
Bombole in spalla, controllo finale dell’attrezzatura, mente concentrata e via, in acqua!
Praticamente atterro sulla schiena di uno squalo pinna nera oceanico, un carcharhinus limbatus: sono ovunque, ce ne saranno 60, 80, forse di più, chi può dirlo. Ci urtano, ci passano tra le gambe. Bestie irruenti di due metri e mezzo, fa un po’ impressione trovarseli addosso; eppure è evidente che ci ignorano: pensano solo alla pastura, girano veloci alla ricerca di brandelli di pesce. In mezzo, più guardingo, c’è anche qualche “dusky”, lo squalo bruno (carcharinus obscurus).
Noi ci mettiamo in posizione, a qualche metro dall’esca principale: un grosso cestello di lavatrice, stipatissimo di sarde congelate e mantenuto ad una decina di metri di profondità da una grossa boa. L’acqua oggi è limpida e il carosello di squali è spettacolare. Ma siamo tutti in attesa dell’attore principale.
Ed eccolo: lo squalo tigre. Nuota lento, sinuoso, è un animale di quattro metri e passa. Si avvicina guardingo al cestello ricolmo di pesce. Ci gira intorno un po’ di volte prima di decidersi a dare un morso. Quando lo fa, ammacca il cestello: una forza della natura.
Dopo un po’ arrivano altri due tigre. Passano sornioni tra i subacquei, con aria curiosa e apparentemente svogliata. A un certo punto un tigre mi punta contro, nuotando molto lentamente: io mi impongo di stare bello tranquillo… ora gira…gira… ma quando il tigre è a 30 centimetri dalla mia faccia (sic) ritengo che sia il caso di seguire le istruzioni di Walter: pianto un urlaccio nel boccaglio dell’erogatore. E, senza perdere la calma, lo squalo vira leggermente, mantenendo il suo sguardo su di me, con un espressione che sembra dire: “Questo qua è completamente fuori di testa”.
Dopo oltre un’ora, a guardare e riguardare, le bombole sono belle vuote e tocca tornare a galla. Siamo tutti euforici per l’eccezionale spettacolo (e per non essere stati catalogati come “preda” dal tigrone…). Si torna a terra ebbri di immagini mentali. Ora i pensieri sono solo alla prossima immersione con i “tigers”. E al leggendario BBQ sudafricano di Walter…
L’ancora di Nettuno
Pubblicato: 11 marzo 2012 Archiviato in: Apnea, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: crociera, immersioni, Turchia Lascia un commentoL’ancora di Nettuno
Siamo in Turchia, il paesaggio è tipicamente mediterraneo con vegetazione fitta che sfiora un mare blu cobalto, una miriade di calette e qualche isola sperduta, alcune di queste con imponenti rovine di templi. Sembra il mare degli dei.
Durante le soste della navigazione mi diverto a fare un po’ di snorkeling ma l’acqua è caldissima e di pesci nemmeno l’ombra così in mancanza di fauna da osservare decido di fare un pò di apnea pura. Recupero un paio di pinne ed una maschera, il solcometro del comandante diventa il mio “cavo improvvisato” ed eccomi ad andare su e giù nello spazio liquido. Il fondo è tra i 16 ed i 18 mt., nulla di eclatante ma io sono molto soddisfatto perché riesco a raggiungerlo in scioltezza aggiungendo anche delle apnee statiche sul fondo di circa 15 secondi. Il comandante mi osserva ed osserva anche gli altri ospiti della barca impegnati in tornei di tuffi a bomba, nuotate e sedute di tintarella tra venditori di kebab che con i loro barchini si aggirano proponendo appetitose focaccine appena cotte. All’ora di pranzo siamo tutti richiamati a bordo e poi ripartiamo per la destinazione in cui passeremo la notte, una baia riparata nei pressi di Kash.
Quando vi giungiamo, appena dopo il tramonto, i colori sono molto diversi. Tutto sembra avvolto da una coltre grigiastra che smorza i toni, come se il sole avesse dato il segnale a tutti gli elementi della natura e questi si fossero ritirati all’unisono per il meritato riposo notturno ed anche noi ci prepariamo ad ormeggiare, alla fonda.
Il comandante, con il figlio 13enne perfettamente in grado di eseguire tutte le manovre di bordo, prepara la barca per la notte. Sara ed io siamo in cabina a prepararci per la cena e prua al vento ascoltiamo il familiare clangore della catena dell’ancora che viene risucchiata dall’acqua quasi a cercare un contatto rassicurante con il fondo del mare, come un bambino che all’imbrunire tende la mano alla mamma in cerca di protezione. Ad un tratto il clangore finisce e si odono delle voci concitate, sembrano insulti reciprochi, ma ovviamente in turco quindi non ci capisco niente. Raggiunta la coperta il comandante ci dice nel suo broken english che qualcuno si è dimenticato di fissare l’altro capo della catena, quindi sia catena che ancora giacciono ora placide sul fondo del mare. Alla faccia del contatto rassicurante! uno scippo in piena regola! ad opera di Nettuno! Caliamo rapidamente un’ancora di riserva ma dallo sguardo capisco che il comandante vuole assolutamente recuperare quella appena persa, mi guarda e mi chiede di dare una mano a cercarla. Non mi faccio pregare e anche se l’impresa è senza speranza: è quasi buio ed abbiamo scarrocciato un bel pò dal punto nel quale l’abbiamo persa, mi cambio di nuovo e sono subito in acqua.
Provoa fare un primo di tuffo armato di mini torcia subacquea che però dopo qualche metro si allaga spegnendosi. Allora il figlio del comandante corre a prenderne un’altra molto più potente, l’accende e me la lancia…noooooo! sono troppo lontano e la manco, mi passa ad un metro ed inizia ad inabissarsi. Non provo neanche ad inseguirla, sarebbe inutile, ma la fisso mentre si inabissa, so che il fondo è alla mia portata. Nel frattempo mi ventilo e quando non la vedo più faccio la capovolta lanciandomi all’inseguimento. Sono sciolto e pinneggio bene anche se ho un pò di freddo ed è tutto grigio, non è bellissimo a dire il vero. I pensieri si accavallano quando ad un tratto vedo una luce, è quella dell’aldilà?, sono schiattato?, ma no è quella della torcia! l’agguanto ed inverto la rotta. Non faccio neanche in tempo a sentire le prime contrazioni che sono già in superficie accarezzato dalla fresca brezza notturna. La torcia emerge per prima, poi le braccia tese con le mani unite ed infine la testa. In superficie mi sento un po’ osservato ed infatti i nostri compagni di viaggio, tutti affacciati a prua della nostra bellissima goletta turca, esplodono in cori da stadio alla vista della torcia. Shane, un australiano simpaticissimo, dal fisico di un torello, orgoglioso della birra prodotta nel suo stato ed in giro per il mondo con la moglie Sarah prima di comprare una casa in riva ad una spiaggia sulla east coast australiana e vivere una vita di lavoro e famiglia, mi grida great! you are “fish-man” e tutti a fargli da eco inneggiando al ritrovamento della torcia. Poi disorientato da tanto entusiasmo rimango qualche istante con le braccia tese a sostenere la torcia e con questi che gridano come ossessi mi sento un pò come Cannavaro che solleva la coppa ai mondiali. Poi capisco che sono solo uno a mollo in mutande in mezzo al mare con una torcia in mano che stà cercando un’ancora che non è neanche sua ed è pure contento! Ma noi di Mare siamo così, del resto se siete su questo blog lo sapete anche voi.
….ad ogni modo tornando al racconto…. al mio rientro a bordo sono accolto come il protagonista di una impresa epica: pacche sulla spalla e mani tese ad aspettare il “cinque” si sprecano, poi arriva il comandante, mi guarda e dice: “thank you my friend” e se ne torna sornione a cucinare il pesce sulla brace.
Dopo un po’ iniziamo a cenare ma nel bel mezzo della serata il comandante la interrompe e mi regala una birra in segno di riconoscenza per il recupero della torcia. Si riparte con cori, tintinnii di posate sui bicchieri e chi ne ha più ne metta…a quel punto, complice anche l’alcol, sfido gli australiani ad un tuffo a bomba dalla battagliola, “non avete coraggio!” gli apostrofo (che detto ad un australiano è come dire a Tyson che non sa tirare di box!), mi alzo, cammino cercando l’equilibrio tra i corpi dei commensali e sparisco oltre la battagliola vestito. In un attimo mi ritrovo a mollo con Shane e Rhys ad urlare e schizzarci come bambini tra le risate nostre e degli altri compagni di viaggio che si sporgono brandeggiando birra ed altri miscugli alcoolici (le mogli degli australiani Sarah e Natalie e la mia, Sara, una nonna tedesca con il nipotino di cui non ricordo i nomi, due diplomatiche francesi dell’ambasciata spagnola Claire e Domitille ed un ragazzo indiano, Sufi, abbigliato come un santone asceta che ha ceduto però alle tentazioni terrene dell’avvenente Meredith, canadese, studentessa universitaria di psicologia alle prese con la ricerca di una sua posizione sul pianeta Terra).
Una combriccola simpatica ed eterogenea, una serata inaspettatamente diversa, una birra in premio ed io sono in mezzo al mare di notte: me la sciallo alla grandissima! In questi momenti vorrei attaccarmi in fronte un cartello con scritto “sciallasi!” ma non posso, come vado in giro poi?
Ad ogni modo al mattino seguente svaniti i fumi dell’alcol le ricerche dell’ancora continuano.
Vengo svegliato all’alba dal rumore del fuoribordo di chi ha iniziato prima di me. Salgo in coperta, recupero pinne e maschera, e respiro a pieni polmoni. Risciallasi! Dormono tutti tranne l’equipaggio ed il sole, che ansioso di dare inizio al nuovo giorno, fa le cose di fretta e gli rimangono ancora attaccati addosso pezzi di notte, le ombre.
Un membro dell’equipaggio tenendo una mano sulla barra del motore ed utilizzando l’altra per appoggiarsi al tubolare scruta il fondo, ora visibile, nel tentativo di individuare l’ancora e venirmi a chiamare affinchè la possa raggiungere. Nel frattempo io entro in acqua ed inizio a fare dei tuffi mirati sui punti che mi indica il comandante. E’ bellissimo, i raggi del sole si fanno strada nell’acqua turchese come i denti di un enorme pettine di fuoco che accarezza le posidonie mosse da una lievissima corrente. E’ Nettuno che dolcemente sveglia le proprie creature, ma dell’ancora nessuna traccia. Poco dopo il comandante decide di cambiare tecnica. Andando avanti ed indietro con la barca inizia a dragare il fondo utilizzando l’ancora di riserva come “rastrello” sperando di “uncinare” la catena ancòra tra le braccia di Nettuno. Inizialmente della catena neanche l’ombra poi quel burlone di Nettuno divertitosi forse troppo ad osservare i nostri goffi tentativi di ricerca e recupero decide che ne ha abbastanza ed all’ennesimo tentativo l’ancora-rastrello ci restituisce finalmente la catena.
Mi bastano un paio di tuffi per agganciare una cima con un moschettone all’ultimo anello (siamo sempre sui 18 metri), uno strattone come concordato, mi allontano per sicurezza ed inizio a guadagnare la superficie osservando l’ancora che con una traiettoria dapprima obliqua rispetto alla mia poi perpendicolare rispetto al fondo, sollevando una nuvoletta di fango come quella dei fumetti di quando uno si arrabbia, ritorna a bordo salpata dall’argano elettrico.
Eh si, Nettuno ci aveva giocato proprio un bello scherzetto, del resto lo sanno tutti che è un gran burlone. Forse la nuvoletta era proprio sua, infastidito per aver noi posto fine al suo divertimento….d’altronde c’era da aspettarselo, siamo noi gli intrusi e lui è il Re del Mare.
Sua maestà lo squalo pinna bianca oceanico – atto 1
Pubblicato: 18 gennaio 2012 Archiviato in: immersioni, Squali, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: crociera subacquea in Mar Rosso, Elphinstone, immersioni, immersioni con squali, longimanus, Mar Rosso, Squali, squalo pinna bianca oceanico 1 CommentoNon è ancora il tramonto quando arriviamo a Elphinston. Solita sarabanda della shamandura, ma alla fine attracchiamo a Punta Sud. Siamo una delle due barche da crociera (subacquea of course!) ancorate al mitico reef pelagico. Uau. Le onde corte e nervose del Mar Rosso egiziano biancheggiano come una corona intorno all’atollo corallino. Appena più all’esterno il mare diventa subito blu. Intensamente blu. Un blu promettente…
Infatti. Dopo pochi minuti, intorno alla barca appare un Carcharinus Longimanus di quasi quattro metri. Comincia a fare “passaggi” sotto ed intorno alla barca. Con Elisabetta, Sara, ed Alfonso ci guardiamo: un Longimanus! Enorme! Come intuibile, Alfonso ed io siamo eccitatissimi. Le scimmiette nelle nostre testoline corrose dal sale saltano impazzite.
E’ tardi per un’immersione. Ma io sento che devo fare QUALCOSA. C’è un longimanus lì sotto, io sono sulla barca e non va bene, devo fare qualcosa, me lo dice la scimmietta più schizzata. So che è uno squalo pelagico con una bruttissima fama, e inoltre siamo ormai al tramonto, non è certo l’orario più indicato per un faccia a faccia con un simile bestione. Ma io voglio entrare in acqua. Devo vederlo da vicino. Voglio il contatto. Lo dico ad Alfonso: lo conosco, già si immagina delle bellissime fotografie. Tuttavia non è convinto. Ne parlo con le due guide. Susanna, una ragazza sarda tosta come il granito di Capo Testa è tiepidina circa l’dea di entrare in acqua. Tortsten, la guida tedesca fino al midollo, è contrario – ma va? chi se lo sarebbe mai aspettato da un tedesco?
Alla fine prendo una decisione: W gli squali, sento che andrà tutto bene, me ne catafotto del tedesco e di Susanna e di tutti. Alfonso è sopraffatto dalla ragione e rinuncia. Ma, glielo leggo in faccia, si è istantaneamente pentito della sua decisione di non scendere in acqua. Prendo maschera e snorkel e mi calo lungo la scaletta di poppa. Mi aggancio con un piede ad un gradino in alluminio della scaletta e mi allungo nella corrente. Che è forte come quella di un fiume in piena, una massa d’acqua che viaggia a svariati nodi all’ora. Se il piede scappa sono guai.
La visibilità è eccezionale. Mi guardo intorno con un po’ in apprensione… Poi lo vedo, sulla destra, ad una quindicina di metri di distanza. Le grandi pinne pettorali distese, con le macchie bianche che si stagliano sul corpo nocciola. Nuota apparentemente senza sforzo, attorniato da alcuni pesci pilota, è un autentico feudatario del mare.
Passa lontano, guardingo, e poi sparisce nel blu. Mi guardo dietro le spalle, di lato, nervoso. E compare ad un paio di metri da me, arrivando da dietro, alla mia destra. Questa volta mi sfila davanti a pochi centimetri. E’ bellissimo. Un grande squalo del blu dal nuoto regale. Scompare ancora una volta dal mio campo visivo. Poi lo vedo di nuovo… ma… no! è più piccolo… È un altro! Sono DUE Longimanus! Questo è più piccolino, meno di due metri. Ma ugualmente elegante.
Me ne sto lì un bel po’, gongolando a vederli passare avanti indietro. Questi sono gli spettacoli che preferisco.
Quando esco, a parte qualche sguardo di riprovazione, capisco di aver creato un precedente: il Longimanus è entrato nelle fantasie subacquee di tutti gli ospiti di bordo (non dell’equipaggio egiziano, che manifesta un autentico terrore nei confronti del grande squalo). E infatti iniziano le pianificazioni per l’immersione delle 6.30 del mattino successivo – i pensieri nell’aria sintetizzabili più o meno così “Chissenefrega del plateau sommerso, del pesce napoleone e dell’arco con la ridicola tomba dell’elfo a -55, vogliamo vedere i Longimanus!”. E’ previsto un giorno e mezzo qui a Elphinstone: non ci sarà spazio per la noia…
La balena e l’infradito
Pubblicato: 1 gennaio 2012 Archiviato in: Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: avvistamento balene, Balene, whalewatching 2 commentiEravamo andati fin laggiù per vedere le balene, ma non abbiamo visto nulla. Non lo sapevamo ovviamente, altrimenti non ci saremmo andati. Erano passate da poco, nel mare grigio con la nebbia, dirette nell’Artico per la stagione dei banchetti e delle abbuffate, dopo aver bighellonato e fatto orge nelle calde acque delle Hawaii. Eh le balene se la godono.
Sul gommone da 10 posti bardati come astronauti abbiamo pattugliato le acque del sound invano: qualche gabbiamo ed una sola coda. Doveva essere una balena vecchia o malata, in netto ritardo sulle sue compagne. Probabilmente non si sarebbe più spostata dal Sound facendone la propria casa e probabilmente la propria tomba. Il mare è una grande tomba ed una grande nursery allo stesso tempo, non si butta via niente, tutto si ricicla.
Che strana balena però, poteva scegliersi un altro posto dove morire, magari le Hawaii dove fa più caldo e soprattutto dove poteva chiudere in bellezza incappando in un maschio particolarmente focoso e miope con il quale condividere gli ultimi piaceri della vita senza alcuna inibizione, morendo così felice ed al caldo, invece che da sola e al freddo.
Ma si sa, a volte le balene fanno come le persone, continuano a fare le stesse cose per una vita, così per indolenza, senza chiedersi se nel frattempo c’è qualcosa di meglio in giro. Come le balene, su e giù per la costa occidentale americana per una vita, senza un minimo di curiosità per tutti gli altri posti del mondo, molto meno freddi tra l’altro.
Qua infatti fa discretamente freddo, non so come faccia lo skipper a stare con l’infradito, è troppo curioso: muta da sopravvivenza in acque gelide, berretto di lana ed infradito.
E vogliamo parlare dell’infradito? dello skipper intendo. Teoricamente è al posto giusto: ai piedi di un tizio, su di un gommone, in mezzo al mare. Ma a scavare sotto le apparenze in pratica qua ci sono quasi 5 gradi in acqua e la persona che lo indossa ha una muta da sopravvivenza in mare quindi l’infradito guardando alla sostanza non è proprio nel posto giusto. C’è quasi sempre una bella differenza tra la teoria e la pratica. Peccato che la vita sia fatta di pratica, o meglio, fortuna che lo è! A volte penso che la pratica sia stata chiamata così per distinguerla dalla teoria che a volte, diciamocelo francamente è fine a se stessa e del tutto inutile, proprio come un’infradito al piede di uno skipper con 5°.
Lo squalo bianco 2: l’attesa
Pubblicato: 16 novembre 2011 Archiviato in: immersioni, Squali, Viaggi subacquei | Tags: immersioni con squali, Squali, squalo bianco, Sudafrica Lascia un commentoTerminati i 3 tentativi di adescamento degli squali con foca di moquette (di più non se ne fanno per evitare di influire in maniera permanente sul loro comportamento) passiamo all’immersione in gabbia. Nulla di ciò che si vede nei documentari come gabbie in alluminio che si adagiano sul fondo, semplicemente un cilindro artigianale con anima in acciaio ricoperta da rete metallica: sulla parte superiore sono fissati dei parabordi, un portello per consentire l’ingresso ed una cima di ormeggio per grosse navi a tenerla vincolata alla barca. A metà altezza della gabbia, un‘apertura per consentire le foto.
Mark, ex broker della city londinese che ha deciso di cambiare vita, inizia a pasturare o meglio infila in acqua un sacco di juta pieno di alici che iniziano così a rilasciare il loro profumino e poi lancia in acqua una testa di tonno vincolata alla barca da una cimetta. Bob nel frattempo tira fuori da un gavone un enorme bastone di 15 cm di diametro con il quale inizia a percuotere il fondo della barca (che spero resista…!!). Pare che queste siano condizioni irresistibili per uno squalo ed effettivamente non rimaniamo soli a lungo.
Il primo ad arrivare è un piccolo bianco che si avventa ingenuamente sulla testa di tonno, ruota su se stesso mostrando metà testa fuori dall’acqua e spalanca la bocca, Mark è però più lesto a recuperare la cima e a rigettare in mare l’esca non appena il selace perde interesse. Il suo occhio è perfettamente tondo e nero. Quando si “sporgono” fuori dall’acqua questi squali protrudono il bulbo oculare in modo da variare l’angolo di incidenza della luce sulla retina. Il loro occhio è infatti progettato per vedere in acqua che è più densa dell’aria, ma in questo modo ci vedono abbastanza bene anche fuori. Anche la rotazione del corpo non è casuale (quasi nulla in natura lo è): avendo la mandibola più arretrata rispetto alla mascella hanno due soli modi per mordere, dal basso verso l’alto, oppure se sono sullo stesso piano della preda devono ruotare su loro stessi. Bene! ora che la lezione di Quark dei poveri è terminata, torniamo al nostro “piccolo amico” il quale deluso dal tentativo andato a vuoto descrive una circonferenza ispezionando i fuoribordo della barca con qualche morsetto ma poi all’improvviso sparisce con un guizzo.
Capiamo tutti che è molto probabile sia arrivato uno squalo più grosso. Ed in effetti non c’è bisogno di scrutare il mare a lungo quando un grosso bianco si mostra in tutta la sua imponenza. Nuota appena sotto la superficie dell’acqua e la presenza del plancton ci impedisce di identificarne bene la sagoma ma non la mole. Nuota lentamente accanto alla barca in uno spazio lattiginoso, la superficie del suo corpo è indefinita rispetto all’acqua che lo circonda al punto da sembrare una presenza eterea, quasi proveniente da un altro mondo. La testa è così grande da sembrare finto.“He’s the boss!” esclama Bob. Qua gli squali sono conosciuti per nome.
Attratto dalla testa di tonno la punta e riesce a morderla. Mark arriva in ritardo e cerca di strappargliela recuperando la cima ma lo squalo è ovviamente più forte ed infastidito da quella resistenza inattesa sbatte la coda contro la fiancata della barca sollevando uno spruzzo d’acqua che mette fuori uso la telecamera di Sara. L’impari battaglia dura pochissimo, lo squalo strappa la cima e si porta dietro il succulento trofeo lasciando il galleggiante giallo librarsi nell’aria. Non si allontana dalla barca, rimane appena sotto la superficie e di tanto in tanto scuote la testa da un lato all’altro.
A questo punto decidiamo di essere in buona compagnia, caliamo la gabbia.
Lo squalo bianco I: acrobata tra cielo e mare
Pubblicato: 25 ottobre 2011 Archiviato in: immersioni, Squali, Viaggi subacquei | Tags: immersioni con squali, Squali, squalo bianco, Sudafrica Lascia un commentoLa traversata è breve, 30 minuti nel buio pesto, quando di colpo il motore rallenta e tutti iniziamo a scrutare in attesa di segnali di predazione naturale.
Il mare è grigio, una distesa di piombo fuso e l’alba inizia a farsi strada nel buio affondandvi le lunghe dita di luce. Regnano la calma ed una leggera onda lunga, tipica dell’Oceano.
All’improvviso un grande spruzzo e l’acqua si tinge di rosso. La foca giace agonizzante, lo squalo si allontana e poi ritorna. Questa scena si sussegue per tre volte ma è troppo rapida, è ancora troppo buio ed è imprevedibile il punto in cui si verificherà quindi impossibile da fotografare. Tra me e me penso: “se continua così siamo messi male”.
Nel frattempo il sole inizia a sorgere, l’umidità ed il freddo della notte lasciano il posto ad un piacevole tepore e la luce diventa mia alleata. Bob tira fuori da un gavone un pezzo di moquette modellato a forma di foca; lo scopo è trascinarla sull’acqua con una lenza sperando che lo squalo possa scambiarla per una foca vera e fare il salto in cui speriamo tutti. Non ci vuole molto prima che il nostro amico venga a farci visita. Pochi minuti dopo, infatti, un bianco non grandissimo (all’anagrafe dei biologi Carcharodon carcharias) di circa tre metri esce completamente fuori dall’acqua con tutto il corpo. Il rapporto peso/potenza è evidentemente molto vantaggioso vista comunque la sua mole. Il corpo è inarcato dallo sforzo, si distinguono chiaramente la zona dorsale grigio scuro, la parte ventrale bianca e l’occhio nero. La moquette è stretta tra i denti e sembra rimanere sospeso in aria per dei secondi, poi ricade pesantemente sull’acqua mollandola e sparisce deluso nel blu. La scena è velocissima e sorprende tutti, la foto è inservibile, tagliata a metà. Gli sguardi si incrociano, Mark, Bob ed io ci guardiamo in un misto di delusione e stupore e senza dire nulla ci prepariamo per il secondo tentativo.
Questa volta va decisamente meglio, dopo pochi secondi un possente corpo affusolato grigio e bianco emerge dall’acqua. Il salto si sviluppa parallelamente alla superficie e non in altezza forse per l’eccessiva mole dell’animale. Lo squalo agguanta la foca si avvita su se stesso ricadendo in acqua e sparisce. Stavolta i riflessi sono stati pronti e porto a casa un bel testone di squalo bianco in mezzo agli spruzzi. Sono contento! Anche Bob è soddisfatto e con il suo viso tondo, occhietti verdi e vispi ed un berretto di lana tirato sulla fronte mi sorride chiedendomi “Did you get him?” ed io gli rispondo “Oh yeah!”.
Sarebbe ora di andare ma lo skipper mi legge nel pensiero e vira di nuovo verso la costa mentre Mark prepara la foca di moquette per un ultimo tentativo. Dopo la virata il sole è di poppa, non proprio il massimo, ma ho appena il tempo di prendere posizione che uno squalo salta di nuovo abbandonando per qualche secondo il proprio mondo per sbirciare nel nostro. E’ abbastanza grande ma molto snello, agguanta la foca di moquette e si libra nell’aria per qualche istante mostrando il fianco prima che la forza di gravità lo risucchi a casa sua. In controluce, è quasi impossibile scorgere i diversi colori della pelle, solo una silhouette che si staglia nitida sull’azzurro del cielo. Ricade pesantemente facendo perdere le proprie tracce, quasi a volerci invitare a fare altrettanto ed infatti anche noi mettiamo la prua verso casa.
Sulla via del ritorno siamo tutti di buon umore e ci concediamo un panino commentando la bella giornata di mare. Quando ad un tratto i volti dell’equipaggio si contraggono nello sforzo di ascoltare un comunicato alla radio, sovrastata dal rumore del motore. Bob alza il braccio per invitarci al silenzio, poi s’incupisce all’improvviso. Mi avvicino per chiedere cosa fosse successo e Mark mi urla nell’orecchio che una barchetta di pescatori di 5 mt. si è capovolta.
Da queste parti a Seal Island in Sudafrica, in pieno luglio, l’acqua è a 14° ed è piuttosto mal frequentata: dei pescatori non si ebbe più notizia.
Il trigone di Felidhoo
Pubblicato: 22 settembre 2011 Archiviato in: immersioni, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: immersioni Felidhoo, immersioni Maldive, Squali, trigone 1 CommentoMaldive, luogo in cui i colori di cielo, Mare e sabbia si incontrano in un’unica parola: Atollo. Siamo in crociera subacquea e dopo diversi giorni di immersioni giungiamo nell’atollo di Felidhoo, dove ci apprestiamo a fare una notturna, ad Alimathà.
A bordo la fioca luce gialla del Doni consente a stento la vestizione ed il controllo delle attrezzature, ma una luce più forte farebbe restringere troppo le nostre pupille impedendoci di percepire quella lunare riflessa dal Mare con evidenti problemi di navigazione. Appena pronti spegniamo anche questa ed è buio. Dopo un po’ gli occhi si abituano e la luce della Luna diventa la nostra guida.
L’immersione inizia in modo rocambolesco, Sara si tuffa per seconda dopo il dive master e perde subito la maschera, mi grida “lanciami un’altra maschera!”; io in bilico con l’attrezzatura indossata, un attimo prima del passo del gigante rientro a bordo e sto già rovistando nelle ceste, trovo una maschera, gliela lancio, poi mi tuffo, si tuffa Jean Claude e siamo sotto. All’improvviso JeanClode scompare, ricomparendo dopo qualche minuto: aveva ritrovato la maschera nera di Sara durante una notturna, incredibile! gliela porge, Sara la sostituisce e si riparte. Raramente mi è capitato di incontrare una persona magnetica come Jean Claude: 60 anni, cittadino del mondo, l’aplomb di un nobile dell’800, l’esperienza di migliaia di immersioni in Mare e non solo, scrive poesie ed è eternamente innamorato, di una gorgonia, di un panorama, di una Paese, di una donna.
La notturna inizia come tante ma finisce come poche. Siamo subito sul fondo sabbioso a -18 ed avanziamo con la parete sulla destra. E’ una bella immersione perché siamo solo in 4 (guide incluse) c’è poca confusione e le probabilità di fare begli incontri aumentano. Un pesce pappagallo dentro il suo bozzolo ben nascosto tra gli scogli fa l’indifferente: è la sua strategia per difendersi dai predatori, si rinchiude in un bozzolo di muco trasparente in modo da evitare che il proprio odore si disperda nell’acqua attirandoli.
Due enormi carangidi pattugliano il reef ed illuminati dalle torce rivelano tutta la loro argentea livrea. Bello si, ma avvistamenti abbastanza comuni, mi aspetto di più. All’improvviso il momento che tutti aspettavamo: si intravede una coda di squalo Nutrice o Leopardo non siamo riusciti a capirlo. Tutti immobili, io inizio ad armeggiare con diaframmi e flash, gli altri scrutano il buio alla ricerca di un segnale che possa palesare la presenza del selace, ma niente, il nostro amico non si fa più vedere. Questi pesci, molto primitivi, tra le tante caratteristiche peculiari hanno quella di non avere uno scheletro osseo bensì una struttura di cartilagine.
Il tempo passa e noi prendiamo la via del ritorno verso il punto in cui sarebbe venuta a riprenderci la barca, Jean Claude ed io più in basso, Sara e Giacomo qualche metro più in su, quando ad un tratto Jean attira la mia attenzione agitando freneticamente lo shaker. Io mi volto e non credo ai miei occhi: il trigone (2 mt. di diametro circa) avanzava spedito, sicuro, incurante di me, descrivendo ampie sinusoidi; eravamo esattamente alla stessa quota. Lui non accennava a rallentare, io non ci pensavo proprio a spostarmi. Traguardo la creatura nel mirino galileiano della mia Nikonos V ed aspetto. Lui continua, io non mi muovo, sento Sara qualche metro più su che grida letteralmente nell’erogatore (qualche settimana prima Ian Irving era morto a causa di una sfortunata collisione proprio con un trigone – forse erano grida di speranza!?), appena il trigone riempie tutto il fotogramma scatto, ma lui continua. Solo ad un metro si accorge di me e come un puledro in corsa che vede il burrone all’ultimo momento, s’impenna mostrandomi il bianco ventre e la linea della bocca, scatto di nuovo poi lui vira a sinistra e si allontana. Lo inseguo invano, altri due scatti ed il suo manto grigio aumenta sempre più di tono fino a fondersi nel nero Blu.
Rivedo il trigone tutte le mattine e tutte le volte sembra voler uscire dalla sua cornice per venirmi incontro nei ricordi di quella bellissima serata passata in mezzo al Mare.
A casa di squali mako e verdesche
Pubblicato: 20 settembre 2011 Archiviato in: immersioni, Squali, Strane storie di mare e di acqua, Viaggi subacquei | Tags: Azzorre, Cetacean Watching Azores, CWAzores, dove vivono le verdesche, immersioni, immersioni con squali, immersioni con verdesche, Pico, Squali, squali blu, squalo mako, verdesche Lascia un commentoQua stiamo parlando di immersioni oceaniche allo stato puro: squali mako e verdesche si trovano al largo delle isole Pico e Fajal, a circa un’ora di navigazione a velocità sostenuta dal porto di Madalena, la base del nostro diving, il CW Azores, a Pico. Isola che già di suo è nel bel mezzo dell’Atlantico.
Qui il blu non manca di certo. Ci si immerge su un pianoro che sale a 200-240 metri di profondità, da una base ben più fonda. Si arriva col gommone e subito si pastura. Ma parsimoniosamente: giusto qualche pezzo di pesce in un sacco traforato, con il condimento di una maleodorante zuppa di sangue, olio di pesce, acqua marina e interiora rigonfie che Martin, la nostra guida, strizza e dispensa con flemma olandese (e un certo gusto dell’orrido tipico dei vent’anni…). In termini di cibo, comunque, è poca roba rispetto alla massiccia pasturazione (“chumming”) vista fare altrove. Si vede che questi squali pelagici sono esseri frugali.
Siamo fortunati, dopo neanche dieci minuti arrivano le prime verdesche: eleganti fantasmi blu di due metri che iniziano a girare intorno alla barca. Quando il sole ne illumina il dorso, la pelle sembra cangiante e vira dall’azzurro intenso al verde e poi di nuovo azzurro. Ci si veste al volo con ovvia eccitazione e poi spluff! finalmente nel blu. Le verdesche arrivano dal basso con il loro nuoto sinuoso, sembrano materializzarsi dal nulla, il colore del dorso che si confonde con il mare. Mica per niente in inglese la verdesca si chiama “Blue shark”, squalo blu. Le verdesche si avvicinano molto, ti sfiorano con il muso e il corpo sottile, guardandoti con i loro occhioni un po’ acquosi e poi scivolano via alla ricerca di qualche frammento di pesce. Uno spettacolo ipnotico. Sono bellissime: verrebbe da portarsene una a casa, come cucciolotto domestico (peccato che sia un animale un po’ difficile da tenere in appartamento a Milano, in effetti).
All’improvviso con la coda dell’occhio vedo un missile argenteo che mi arriva alle spalle e mi supera. Mako! Mako! Mako! Due metri e mezzo abbondanti di squalo muscoloso, il nuoto veloce, vibrante, nervoso. Punta con insistenza al sacchetto di rete con dentro il pesce: sacchetto che gli viene puntualmente sfilato da sotto il muso dall’esperto skipper. Il mako nuota sicuro in mezzo a noi, l’occhio nero e i denti sporgenti che, quando viene dritto verso di te, ti fanno pensare per un momento “Opporcavacca”. Poi lui gira ad angolo retto, giusto una spanna davanti alla maschera. E in definitiva si fa gli affari suoi. Così per quasi un’ora – credetemi, un’ora da sballo. Ma le immagini possono valere più delle parole. Queste le ha girate il mio compagno d’immersioni Pierre Couillaud, un ragazzo parigino con la stessa strana malattia per gli squali che mi ritrovo addosso io e con il quale ho condiviso questa esperienza.
In cerca dello squalo Zambesi
Pubblicato: 14 settembre 2011 Archiviato in: Apnea, immersioni, Squali, Viaggi subacquei | Tags: Apnea, Diving Oman, immersioni con squali, pinna nera, Squali, squalo carcarino, squalo leuca, squalo Zambesi Lascia un commentoOman. Una delle guide subacquee dell’Oman Diving Center, alla fine di un’immersione con autorespiratore a Mermeide Cove, mi sta raccontando “ … sai, qui vicino, qualche volta ho incontrato uno squalo Zambesi”. Urca! Uno Zambesi!
Lo squalo Zambesi è quello che gli anglosassoni chiamano “Bull Shark”. Nome scientifico Carcharhinus leucas. Squalo niente facile da osservare: come habitat predilige foci di fiumi e acque costiere con scarsa visibilità, dove può facilmente insidiare le sue prede. Vive benissimo nei fiumi, anche a migliaia di chilometri dalla foce. E riesce a campare persino nei laghi (nel lago Nicaragua è accertata la sua presenza). Affascinante… E’ uno squalo dal corpo massiccio, considerato pericoloso e aggressivo. Ma io non sono totalmente convinto di ciò: la mia personalissima convinzione è che, prediligendo ambienti costieri con acque torbide, abbia una certa facilità di contatto con la specie umana e, per la scarsa visibilità, qualche volta attacchi l’uomo per sbaglio.
Tornando alla guida subacquea, io immediatamente propongo: “Beh, allora domani veniamo qui a fare una bella immersione dedicata alla ricerca dello Zambesi…”. La guida è un ragazzo simpatico dello Sri Lanka, che scuote la testa e mi dice: “Non possiamo: è molto improbabile incontrarlo. In tanti anni di immersioni qui, l’ho visto un paio di volte. Il rischio di pianificare un’immersione intorno a questo squalo è che alla fine non si veda nulla, né squalo, né altro. A quel punto i clienti sono tutti scontenti”. Logico. Mica sono tutti ossessionati dagli squali come me. Allora gli rispondo: “Vorrà dire mi aggregherò al prossimo gruppo che farà un’immersione qui, poi procederò da solo, in apnea. Fammi per favore sapere quando ci sarà la prossima immersione qui.” La prossima immersione è l’indomani, di primo pomeriggio.
Alle 14 sono pronto davanti al Diving. Tutta la poca attrezzatura da apnea sta comodamente nella sacca della monopinna. Che desta sempre curiosità tra gli amici bombolari… Tempo di fare un veloce appello e via, ci si incammina sul pontile, verso la barca. Sistemiamo le attrezzature a bordo, rapida conta dei subacque e via.
Pochi minuti di navigazione, la barca si ferma e attracca al gavitello di Mermeide Cove. Una piccola cala tranquilla, riparata. La guida mi spiega che le migliori possibilità d’incontro ci sono nella zona tra Mermeide Cove e il sito d’immersione adiacente, noto come Sea Horse Haze. Rimarrò sempre a vista della barca ormeggiata e del marinaio, le distanze non sono grandi. Entriamo in acqua. Mi stacco dal gruppo di bombolari per seguire la mia pista. Un tuffo sotto la barca per sgranchirmi le gambe e i polmoni, pinneggiando abbastanza lentamente e portandomi verso lo sbocco della cala. Riemergo. Mi preparo, ventilandomi con calma e scendo, con l’intenzione di attraversare in larghezza la cala, da punta nord a punta sud, un tratto di 50-60 metri. Nuoto a delfino lento, cerco di rilassarmi e risparmiare ossigeno, ma anche di guardarmi intorno: vedo belle formazioni coralline, coralli duri e coralli molli, molto colorati. Scendo alla base della parete, ma la profondità resta contenuta. Qui la roccia ed i coralli finiscono ed inizia un pianoro di sabbia. Ci nuoto sopra. E’ costellato di buchi di vermi e molluschi. Visto che si tratta di attraversare una distesa di sabbia decido di nuotare da monopinnatista: testa bassa tra le braccia tese in avanti. Poi alzo la testa per vedere se la mia rotta è lineare e vedo lo squalo. E’ a una quindicina di metri e si dirige dritto dritto verso di me. Smetto di pinneggiare e mi adagio sul fondo. Non capisco ancora di che specie si tratti, perché mi arriva proprio di fronte. Ma è grosso. Penso in sequenza: “Zambesi.” “No,troppo snello, è un grigio.” “Grigio? No! Squalo pinna nera di barriera!”. Mai visto così grosso! Due metri e mezzo, praticamente il massimo raggiungibile dalla specie. Bellissimo, elegante, il corpo muscoloso color nocciola e quelle tacche nere orlate di bianco ad ornare le pinne. Lo squalo rallenta. Rallenta ancora. Mi passa a fianco, sguardo diffidente ed indagatore mentre scivola silenzioso a mezzo metro da me, con quel suo invidiabile nuoto privo di sforzo apparente. Fa un mezzo giro intorno a me per finire la sua analisi e poi se ne riparte, con una progressione decisa, proseguendo per la sua strada. Lo guardo sparire nell’orizzonte blu e poi riemergo lentamente. Sono soddisfatto: potrei tornare sulla barca. Potrei. Ma visto che sono in acqua… vado avanti. Alzo la testa e vedo il barcaiolo mi guarda, gli faccio cenno di OK, lui pure.
Mi dirigo appena oltre la punta sud. La linea di costa è praticamente diritta e io nuoto lentamente sott’acqua a 5/6 metri di profondità, mantenendomi parallelo alla costa ed appena più su del gigantesco pianoro corallino, che degrada verso il fondale sabbioso qualche metro più in basso. Il pianoro, da solo, è uno spettacolo: una prateria di coralli molli gialli e rossi attecchiti sopra una vasta distesa di madrepore incrostanti. Alzo lo sguardo e mi trovo circondato da un branco di una trentina di carangidi come non ne ho mai visti: grandi e piatti, il corpo argenteo, con lunghissimi filamenti che pendono dalle pinne dorsali e anali. E per “lunghissimi” intendo un metro e mezzo. Sembrano adorni di stelle filanti. Appurerò successivamente che si tratta di Alectis Ciliaris: un gioiello del mare di rara bellezza.
Smetto di muovermi e mi fermo sul fondo, aggrappato con un dito ad un angolo di roccia disadorna, “all’aspetto”. Loro mi carosellano intorno. Sto lì e lì guardo finche il mio corpo non mi dice che è meglio risalire. Recupero e torno giù. E loro sono sempre lì a danzarmi intorno. Vado avanti così per un po’, domandandomi se mai quei carangidi bellissimi se ne andranno. Durante uno di questi appostamenti sul fondo, con la coda dell’occhio avverto una presenza e dopo una frazione di secondo una grande massa scura mi sfila di fianco. Potente schizzo di adrenalina nel sangue! Ormai mi ha passato: è un grosso squalo corpulento di colore scuro. Lo Zambesi. Tre metri. Si allontana da me lentamente ma con moto rettilineo, senza mostrare alcuna intenzione di tornare indietro. L’emozione mi ha fatto bruscamente calare il tasso di ossigeno nel sangue, devo riemergere. Sono pieno di adrenalina, con i muscoli lievemente tremolanti. Tento altre attese sul fondo corallino, intercalate da lente nuotate a varie profondità, ma nulla, lo squalone è sparito. Decido che per oggi ne ho abbastanza e mi dirigo verso la barca. In fondo alla mia mente c’è anche un minimo timore, che mi induce a levarmi da lì. In fondo ha una pessima fama.
Qualche minuto dopo, sulla barca, mi asciugo al sole in silenzio. Negli occhi e nella mente quella massa scura color cobalto che mi passa di fianco…